Il Papa: in un mondo di autosufficienza, le nostre fragilità ponte verso il cielo
Isabella H. de Carvalho – Città del Vaticano
La misura della nostra umanità non è data da ciò che possiamo conquistare, ma dalla capacità di lasciarci amare e, quando serve, anche aiutare.
Umanità, amore, dedizione agli altri. Sono tanti gli spunti che Leone XIV offre nella catechesi dell'udienza generale di oggi, 3 settembre, in una affollata Piazza San Pietro che lui saluta con un lungo giro in papamobile prima dell'inizio della sua meditazione. “In un tempo che premia l’autosufficienza, l’efficienza” e “la prestazione”, il Papa invita a riconoscere i propri limiti e le fragilità per conoscere l’amore di Dio. La riflessione del Pontefice nasce da una lettura del Vangelo di Giovanni che descrive il “momento più luminoso e insieme più tenebroso della vita di Gesù”, ovvero gli ultimi istanti prima della sua morte, in cui dice di avere sete e gli viene offerta una spugna imbevuta di aceto. In quel “grido silenzioso”, spiega il Papa, c’è un Dio che ha “voluto condividere tutto della nostra condizione umana” e “si lascia attraversare anche da questa sete”.
Nella sete di Cristo possiamo riconoscere tutta la nostra sete. E imparare che non c’è nulla di più umano, nulla di più divino, del saper dire: ho bisogno. Non temiamo di chiedere, soprattutto quando ci sembra di non meritarlo. Non vergogniamoci di tendere la mano. È proprio lì, in quel gesto umile, che si nasconde la salvezza.
L’uomo non si realizza nel potere
“Sulla croce, Gesù non appare come un eroe vittorioso, ma come un mendicante d’amore” che “non proclama, non condanna, non si difende” ma chiede “umilmente” aiuto, sottolinea il Papa. Nell’affermare che ha sete Cristo “manifesta la sua umanità e anche la nostra”, perché “nessuno di noi può bastare a sé stesso. Nessuno può salvarsi da solo,” insiste Leone XIV. “La vita si “compie” non quando siamo forti, ma quando impariamo a ricevere” e “Gesù non salva con un colpo di scena, ma chiedendo qualcosa che da solo non può darsi”.
Questo è il paradosso cristiano: Dio salva non facendo, ma lasciandosi fare. Non vincendo il male con la forza, ma accettando fino in fondo la debolezza dell’amore. Sulla croce, Gesù ci insegna che l’uomo non si realizza nel potere, ma nell’apertura fiduciosa all’altro, persino quando ci è ostile e nemico. La salvezza non sta nell’autonomia, ma nel riconoscere con umiltà il proprio bisogno e nel saperlo liberamente esprimere.
La nostra sete di amore, di giustizia
E il Papa poi evidenza come la sete di Gesù sulla croce “non è soltanto il bisogno fisiologico di un corpo straziato”, ma soprattutto l’“espressione di un desiderio profondo: quello di amore, di relazione, di comunione”. È il grido di “un Dio che non si vergogna di mendicare un sorso, perché in quel gesto ci dice che l’amore, per essere vero, deve anche imparare a chiedere e non solo a dare”. Leone XIV ribadisce che dopo che Gesù prende la spugna imbevuta di aceto proclama “è compiuto” e spira, mostrando come “l’amore si è fatto bisognoso, e proprio per questo ha portato a termine la sua opera”.
E qui si apre una porta sulla vera speranza: se anche il Figlio di Dio ha scelto di non bastare a sé stesso, allora anche la nostra sete – di amore, di senso, di giustizia – non è un segno di fallimento, ma di verità.
Chiedere è liberante, sconfigge la vergogna del peccato
Il Pontefice poi incoraggia a chiedere aiuto davanti alle nostre fragilità perché “Gesù ci salva mostrandoci che chiedere non è indegno, ma liberante”. “È la via per uscire dal nascondimento del peccato, per rientrare nello spazio della comunione. Fin dall’inizio, il peccato ha generato vergogna”, continua il Papa. Invece “il perdono, quello vero, nasce quando possiamo guardare in faccia il nostro bisogno e non temere più di essere rifiutati”.
La sete di Gesù sulla croce è allora anche la nostra. È il grido dell’umanità ferita che cerca ancora acqua viva. E questa sete non ci allontana da Dio, piuttosto ci unisce a Lui. Se abbiamo il coraggio di riconoscerla, possiamo scoprire che anche la nostra fragilità è un ponte verso il cielo. Proprio nel chiedere – non nel possedere – si apre una via di libertà perché smettiamo di pretendere di bastare a noi stessi.
Leone XIV conclude ribadendo che “nella fraternità, nella vita semplice, nell’arte di domandare senza vergogna e di offrire senza calcolo, si nasconde una gioia che il mondo non conosce” e che riporta alla nostra “verità originaria”, ovvero di essere “creature fatte per donare e ricevere amore”.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui