Nella Turchia siriaca, la diaspora e il ritorno
Antonella Palermo – Sanliurfa, Mardin, Ömerli, Midyat, Haberli-Bsorino, Midin
La Chiesa ha bisogno di voi. Perciò è fondamentale custodire le vostre tradizioni senza annacquarle, magari per praticità e comodità, così che non vengano corrotte da uno spirito consumistico e utilitarista.
L’affetto mostrato da Papa Leone XIV nel , il 14 maggio scorso, costituisce un abbrivio significativo per provare a raccontare le forme di resistenza che i cristiani del Tur ‘Abdin continuano a mettere in campo per sopravvivere e far sopravvivere le radici della tradizione siro-ortodossa in questa regione a sud-est della Turchia. A mettere in contatto con queste storie è un pellegrinaggio organizzato dall’associazione Amici del Medio Oriente, impegnata da quasi vent’anni nel favorire l’incontro con rappresentanti delle varie Chiese cristiane in Medio Oriente e nelle terre bibliche. La modalità degli itinerari è tale per cui facilmente i legami che si creano sono primizia di amicizia e speranza. La guida è monsignor Paolo Bizzeti SJ, già Vicario apostolico dell’Anatolia e tutt’ora presidente di Caritas Anatolia.
Nel villaggio di Ömerli, il fabbro cristiano rimasto sempre qui
In 43 villaggi, fino a 100 anni fa quasi interamente cristiani, oggi su una popolazione di 14 mila abitanti c’è solo una famiglia cristiana. Vive a Ömerli, sulla strada che da Mardin (dove sono110 le famiglie cattoliche) porta a Midyat. Due coniugi, quattro figli, i nonni, due zii portatori di handicap. Lui ha seguito il mestiere di fabbro, che è quello della famiglia da sette generazioni: “Volevo partire per l’estero per sottrarmi al servizio militare. Quando ne ho parlato con mio padre, lui mi ha risposto: non hai il coraggio di fare questo mestiere…”. Ora è felice di aver deciso di restare nel posto dove è nato ed il suo lavoro è apprezzato da tutti, smentendo quindi il giudizio troppo rapido di suo padre! Cemil Akdemir, questo il suo nome, custodisce una memoria fatta di artigianato, semplicità, onestà, integrità di fede: “Non siamo i servi del denaro, ma servi del nostro Signore”, sottolinea quando incontra i pellegrini nella chiesa di San Giorgio, un piccolo gioiello nel suo villaggio, di cui cura la manutenzione e l’ammodernamento, con grande zelo e soddisfazione. Un duplice camminamento lungo il perimetro della volta della chiesa - ricostruito in gran parte grazie alle rimesse degli emigrati - migliora l’ingresso della luce, l’acustica, la sicurezza. Una volta l’anno vi si celebra la Messa in onore del santo facendo però slittare la data ad una stagione che consenta di affiancare al rito liturgico una festa della comunità all’aperto. La chiesa, infatti, è il perno attorno a cui si fonda il legame di comunità: con gli antenati e con le famiglie cristiane della regione che qui sperimentano il valore essenziale della solidarietà: “Nelle nostre feste vengono a trovarci anche le autorità civili perché ora siamo benvoluti”.
“Se c’è amore, si può vivere”
Cemil oltre al turco parla curdo e arabo. Non ha potuto studiare e proprio per questo vuole che i figli proseguano negli studi, se necessario anche fuori dalla Turchia. “Questo è un villaggio troppo poco sviluppato e i ragazzi sono attratti dall’estero”, racconta. Qui si è portati ad affidarsi all’oggi, “domani è domani”. Sebbene molti se ne siano andati, la nostalgia prima o poi riaffiora e “la gente vuole venire a morire nel luogo natìo”. Intanto il costo della vita aumenta e questo ovviamente è un problema sentito con grande preoccupazione da parte di tutti. Svezia, Svizzera, Italia, Germania: sono questi i Paesi maggiormente scelti in passato come destinazione alternativa per un futuro migliore. Come fate a resistere saldi nella fede? È la domanda che emerge più di frequente: “Leggendo il Vangelo”, risponde Cemil con un sorriso e senza troppo giri di parole. Ciò che incide è il percepirsi come co-eredi di Pietro, appartenenti a una discendenza: “Io e la mia famiglia non rappresentiamo solo noi stessi”. Ogni sabato si legge e commenta la Scrittura e si prega nel cimitero accanto alla chiesa. “Se c’è amore, allora si può vivere”, osserva questo padre di famiglia che parla dell’importanza di avere sempre rispetto per l’altro e accenna a qualche episodio della sua infanzia, quando per esempio rientrava in casa con il pane in mano e rischiò anche di finire lapidato. A salvarlo fu il ravvedimento del compagno il cui padre gli fece capire che bisognava essere fraterni. “L’amore vince sempre, la spirale dell’odio no”.
Bizzeti: una fede solo sentimentale non regge agli urti
“Il Cristianesimo non si tiene insieme con un adesivo che incolla dei concetti o delle emozioni, ma attraverso la testimonianza della Buona Notizia” che è fonte inesauribile di conoscenza e discernimento, come ben sapevano i padri siriaci. Così scandisce monsignor Bizzeti, convinto che “una fede solo ‘sentimentale’ non regge gli urti. “Se si vuole capire la logica della salvezza – insiste - non si deve ragionare in termini di numeri, ma cambiare i parametri, senza temere di essere il piccolo gregge, il granello di senape, il lievito”. Lo testimonia, tra gli altri, abuna Saliba, che il gruppo incontra nel villaggio di una cinquantina di famiglie a Bsorino, sulla strada che da Midyat va verso Cizre, su una collinetta un tempo in mezzo a mandorli, vigneti e molti altri alberi da frutta, in gran parte distrutti dalla guerriglia turco-curda degli anni ’90. Una storia fatta di ripetute decimazioni dovute a peste, siccità, invasioni. Ad andare distrutto è anche il patrimonio di testi dei Vangeli che erano stati scritti su pelli di gazzella e ornati con oro, molto preziosi, racconta il parroco. Erano ben 25 le chiese disseminate in questa località, intitolate ad altrettanti santi. Assai tenace è la fede mostrata negli anni da questi abitanti, oggi quasi esclusivamente bovari e contadini, capaci di rialzarsi ogni volta come quando, nel 1492, oltre un migliaio di abitanti andarono in pellegrinaggio a Gerusalemme vincendo molte avversità. Siamo in una terra che ha dato i natali a varie personalità di spicco, tra cui il metropolita di Mor Gabriel, che nel 998 ha rinnovato lo stile di scrittura della lingua siriaca, e molti importanti calligrafi, preti, monache e vescovi.
Ricostruire le pietre e le comunità
Saliba descrive un villaggio interamente cristiano che oggi gode di buona vita. Rientrato dopo vent’anni passati in Svizzera, il sacerdote è molto attivo nelle opere caritative ed educative e ha costruito anche una bella casa di accoglienza. Molti sono partiti per la Svezia, l’Olanda. “Mi ero sistemato bene in Europa, con mia moglie vivevamo bene, ma a un certo punto ho realizzato che qui c’era bisogno di me. Avevo nostalgia”. In Svizzera aveva fatto il tornitore e in chiesa svolgeva la funzione di diacono.
Continuando nella stessa direzione, ovvero verso l’Iraq, ormai vicino, si incontra la chiesa restaurata del villaggio di Midin, dedicata a Giuda Taddeo. Qui c’è abuna Semun Uçar a illustrare il territorio, che conserva antichi reperti dell’epoca medio-assira e un’antica iscrizione su cui per la prima volta compare il nome di una monaca nel Tur ‘Abdin. Vari assedi, fino al secolo scorso, hanno decimato i cristiani o li hanno costretti a fuggire all’estero, si parla di circa duemila famiglie. Molti superstiti sono riparati in Iraq e in Libano definitivamente. Altri sono tornati qualche anno dopo, altri ancora hanno trovato rifugio nella chiesa fortificata di Mor Dodo. Attualmente sono poco più di un centinaio le case nuove che vengono utilizzate d’estate al loro rientro. Si vive di agricoltura e pastorizia; la terra è molto fertile ma i ricavi non sono adeguati. Si produce un buon vino e spuntano un po’ ovunque nuove pizzerie grazie alle quali si cerca di dare un nuovo corso alla propria sussistenza. “Il futuro lo vedo un po’ difficile per noi”, confida il parroco che lamenta la mancanza di sostegno, al di fuori di ciò che possono fare le famiglie, per le attività educative dei cristiani. Vero è che sono superati i tempi in cui si rischiava la lapidazione se si tentava di attraversare il fiume Tigri. “Non dobbiamo costruire solo pietre, dobbiamo costruire delle comunità di fedeli”, sottolinea di fronte al timore che i villaggi abitati da “fantasmi”, svuotati di anime.
Una famiglia di contadini, esempio di cura, onestà, rispetto
Prima di proseguire verso il monastero di Mor Gabriel, la sosta per il pranzo è presso la famiglia Beth-Hanno, di contadini, nel villaggio di Beth Kustan dove vivono 17 famiglie cristiane, che arrivano ad una trentina in estate. La metà degli abitanti di questo piccolo centro infatti vive all’estero. La diaspora è stata forte soprattutto negli anni Ottanta, acuita dai problemi causati dal terrorismo. Squisita è l’accoglienza nel cortile di una modestissima abitazione di campagna, tra galline e un allevamento di dieci mucche, undici capre e tre pecore; indimenticabile la genuinità di sapori e amicizia. Di 13 fratelli, metà vivono all’estero. Quelli rimasti, ciascuno secondo le proprie attitudini, si dedicano alle necessità della casa, del lavoro e degli anziani verso i quali il dovere di cura è molto sentito. Il più piccolo si arrampica sul solaio in pietra dell’annesso per il ricovero degli animali: con un cellulare vuole fotografare gli ospiti e il vescovo che li accompagna e che qui si sente “a casa”.
I sogni dei giovani
La famiglia coltiva fichi, mandorle e pistacchi, specialità del luogo. Riesce a provvedere al proprio sostentamento unicamente con i pochi proventi di questi prodotti e con qualche rimessa dai familiari all’estero. È la sorte di diversi turchi. “Ultimamente è sempre più difficile emigrare, almeno per chi non ha uno status sociale elevato”, osservano i giovani. Anche i ricongiungimenti familiari sono assai complicati. Yelda, la ragazza quasi maggiorenne, desidererebbe andare a studiare l’inglese all’estero, per poi diventare insegnante. I suoi occhi vispi e gentili sono lo specchio di un sogno. Istruirsi è fondamentale, dicono qui, perché aiuta non solo nella formazione ad una professione intellettuale, ma per scansare eventuali pregiudizi, per favorire la convivenza e il dialogo. Prima di accompagnare i pellegrini alla visita della chiesa del villaggio dietro casa, con lo zio Ishak cerca su internet il testo del canto Anima Christi: i ragazzi lo hanno bene impresso nel cuore da una precedente simile occasione di incontro. Parte un coro improvvisato che accende la promessa di ritrovarsi presto.
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Questo è il terzo di quattro episodi che raccontano il pellegrinaggio organizzato dal 27 aprile al 4 maggio 2025 dall’Associazione Amici del Medio Oriente (AMO) nella Turchia siriaca. Il prossimo racconto sarà pubblicato martedì 24 giugno.
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