ÐÓMAPµ¼º½

Cerca

Nella Turchia siriaca, il monachesimo che resiste

Secondo episodio di un reportage che, grazie all¡¯associazione Amici del Medio Oriente, aiuta a scoprire le radici di una tradizione rimasta nei secoli a presidio di fede e speranza cristiana. Gioielli di architetture uniche al mondo, alcuni ridotti a pochi ruderi, altri ricostruiti, abitati e vitali, i monasteri del Tur ¡®Abdin sono esempi di una adesione al Vangelo limpida e tenace. Il monaco Aho: le cose che contano sono l¡¯amore, la vita semplice, la misericordia

Antonella Palermo - Mardin, Midyat, monte Izlo

Quanto è importante riscoprire, anche nell¡¯Occidente cristiano, il senso del primato di Dio, il valore della mistagogia, dell¡¯intercessione incessante, della penitenza, del digiuno, del pianto per i peccati propri e dell¡¯intera umanità, così tipici delle spiritualità orientali!

Cristiani che sono 'liturgia vivente'. È l'immagine che si conserva dei monaci della Turchia siriaca, che vivono nel cosiddetto Tur ¡®Abdin. A costoro ben si adattano le parole di Papa Leone XIV pronunciate in occasione del . Con un gruppo di pellegrini, guidato da monsignor Paolo Bizzeti SJ, già vicario apostolico dell¡¯Anatolia e tutt¡¯ora presidente di Caritas Anatolia e dell¡¯associazione Amici del Medio Oriente (AMO) che organizza l¡¯itinerario, l¡¯attraversamento di questo altopiano calcareo alla scoperta di presidi spirituali tra i più affascinanti al mondo assume il valore di un percorso interiore verso spazi di progressivo silenzio e armonia con il creato.


I monasteri del Tur ¡®Abdin, fiaccole di presenza e di speranza

Sotto un cielo straordinario, si ripercorrono le origini del monachesimo fino all¡¯epoca di Antonio il Grande in Egitto: significa entrare al contempo nelle ragioni e nel mistero di vite spese nel ¡°deserto¡±. Alla base c¡¯è l¡¯allarme per derive funzionalistiche che annacquano la religione: la reazione è una rieducazione alla fede e della fede. Chiese e monasteri, diventati nell¡¯area esplorata centri di preghiera, formazione, cultura e scienza, vivono il loro periodo di massima fioritura tra il IV e l¡¯VIII secolo esercitando, in particolare il monachesimo cenobitico, un grande impatto sulla vita religiosa della comunità locale tanto da rappresentare un buon esempio da imitare nonché un grande sostegno per i cristiani. Storicamente qui si commentano e traducono le Scritture, come anche testi classici di filosofia, matematica, astronomia, medicina. In epoca medievale si contano almeno un¡¯ottantina di monasteri. All¡¯incrocio di varie civiltà, subiscono varie volte saccheggi e massacri ma qui, più che in Siria, riescono a resistere nel tempo. Attualmente sono otto quelli attivi nel Tur ¡®Abdin e un paio a Mardin, come precisa la guida curata per le Edizioni Terra Santa, dal vescovo Bizzeti e dal priore della Comunità di Bose, fr. Sabino Chialà, prezioso strumento per entrare in contatto con una geografia fino a qualche anno fa priva delle minime indicazioni per una comoda accessibilità.

monastero
monastero   (© Antonella_Palermo)

Il sangue dei martiri non è vano

La pietra color miele dei monasteri è un baluardo di cura, orazione, memoria, arte. Se ne conserva la sapienza millenaria nel costruire architetture ardite, con camminamenti sotterranei, dove riposano fondatori e martiri, e aerei, con terrazze percorribili da cui si godono viste mozzafiato. Rimangono sovente i segni evidenti della matrice pagana su cui sono stati per lo più edificati: è il caso, per esempio, del monastero "dello Zafferano" la cui parte antichissima, dedicata al dio del Sole, risale al duemila a.C. Qui la struttura mostra un modello unico al mondo: il soffitto formato da pietre gigantesche che, senza l¡¯ausilio di alcun legante ma solo grazie a un preciso calcolo di statica, creano una superficie non a volta ma orizzontale. Oltre cinquanta patriarchi e metropoliti vi sono sepolti, non sdraiati ma seduti ¡°in modo da essere pronti per salutare il Padre al momento del Giudizio universale¡±, spiega il maestro. ¡°Il sangue dei martiri non è vano¡±, racconta indicando i punti di maggiore distruzione da parte dei mongoli di Tamerlano: a scomparire anche gli affreschi coi colori naturali. In alto i ballatoi, indizio di una numerosa partecipazione alle messe, anch¡¯essa perduta.

Da centri ridotti a pochi ruderi, a piccoli presidii di spiritualità

Alla vivacità del monastero Deyrul Zafaran si affianca la suggestione di alcuni antichi centri ridotti a pochi ruderi e di altri ben conservati ma privi di persone, se non quelle che ne conservano le chiavi. È il caso di Santa Maria di Hah, con la sua iconica parte sommitale, un gioello di architettura con un¡¯abside esclusiva nel suo genere: all¡¯esterno risalta in modo straordinario anche grazie a un gioco iperbolico di balaustre che si affaccia su campi sterminati e verdeggianti. Ritorna il tema dell¡¯unità ripensando alla leggenda legata a questo sito che racconta di dodici re partiti seguendo la stella cometa: tre soli incontrarono Gesù a Betlemme dove ricevettero un vestitino da Maria, come ricordo. Tornati dagli altri e non riuscendo a dividere in nessun modo l¡¯abito, decisero di bruciarlo così che ciascuno avrebbe preso una parte di cenere. Ma dal fuoco vennero fuori dodici medaglioni, a significare che Dio non può essere conteso né diviso. Altrove ancora le esigue comunità cercano di tenere accesa una fiaccola di presenza e anche di speranza. Provoca un fascino particolare apprendere che il monastero dedicato a Mor Malke, distrutto e ricostruito più volte, sia stato immortalato, tra gli altri, dall¡¯audace viaggiatrice e fotografa Gertrude Bell. Il sole è cocente. I due monaci che ci vivono, pur concedendosi poco alle domande, regalano una sosta protetti da un poco di ombra mentre lo sguardo si perde sulla sconfinata vallata del monte Izlo. Il tempo si dilata, il respiro pure. L¡¯ennesimo tè, come ristoro lungo il percorso, è offerto non lontano da Midyat, verso nord, nell¡¯ampio monastero ancora ricostruito e abitato di Mor Yaqub a Salah. Sorto accanto a un tempio pagano, di cui i monaci stanno portando alla luce importanti vestigia, conserva ancora intatta una chiesa del V secolo in onore del martirio di Giacomo il recluso.

Dentro le comunità oranti, al ritmo degli inni

Il monastero più attivo resta quello che è anche considerato il più grande, Mor Gabriel, fondato dai santi Samuele e Simeone: nel V secolo ospitava cinquecento monaci, arrivando ad averne anche 1200. Oggi ce ne sono quattro, 13 le monache, 24 gli studenti, una decina i laici e un metropolita. Di cinque chiese originarie ne restano due. Può vantare l¡¯interesse di imperatori, sia romani che bizantini; in particolare attirò il sostegno di Teodora, moglie di Giustiniano. Ammaliante e ipnotico è ascoltare uno dei momenti di preghiera quotidiana con i giovani che a due cori recitano salmi e inni con la tipica melodia locale. Le monache non sono così visibili pur condividendo le attività comunitarie. La frequentazione del luogo è consistente anche a motivo di un¡¯area adibita a museo con elementi di rara bellezza tra cui una cappella a mosaico sullo stile ravennate di strabiliante bellezza che rende il pellegrinaggio un¡¯esperienza davvero multisensoriale.

Particolare di uno dei monasteri
Particolare di uno dei monasteri   (© Antonella_Palermo)

Al monastero ¡°delle gazzelle¡±, senz¡¯acqua contemplando Dio

A 1250 metri di altitudine sono due filari di rose curatissime ad accogliere i pellegrini. Bisogna pranzare al sacco e il posto più adatto è una bella veranda annessa al monastero, costruita per facilitare la permanenza in quest¡¯oasi incantevole senza impattare eccessivamente sull¡¯organizzazione del tempo e degli spazi interni. Immersa nella foresta, da qui nei giorni limpidi si vede la piana della Siria e i monti dell¡¯Iraq e la rocca di Mardin. Il sito è chiamato anche ¡°del corno¡± per la conformazione del terreno su cui insiste la struttura, un grande avvallamento ai cui lati sembrano emergere le corna di un animale. Abitato in origine prevalentemente da monaci che si dedicavano prevalentemente a copiare libri liturgici richeisti da ogni dove, caduto poi in desolazione, viene restaurato attorno al 2000. È lo zelo dei fedeli del villaggio di Badibe ad assicurare anche l¡¯apertura di una strada di collegamento. La leggenda narra che per impastare la calce necessaria alla costruzione siano state le gazzelle che avrebbero offerto spontaneamente il proprio latte usato così al posto dell¡¯acqua. Tutt¡¯ora l¡¯acqua corrente non c¡¯è infatti: un aspetto che acuisce la fatica dell¡¯unico monaco che qui abita ma che ne aumenta, forzosamente, l¡¯intraprendenza.

La vocazione del monaco Aho: ¡°Dio è con me¡±

Il monaco si chiama Aho, un concentrato di energie e di sorriso. Ci ha messo piede dodici anni fa, primo monaco a tornarvi dopo due secoli di abbandono. Nessuno sa come riesca a badare a tutto, a rendere tutto così ospitale. In dieci anni sono stati creati il muro di recinzione, le cisterne, i terrazzamenti. ¡°C¡¯era un solo albero, oggi ne abbiamo duemila di alberi giovani¡±, racconta Aho attorno al desco. È nato a Istanbul 49 anni fa, il padre orefice, una strada segnata per fare lo stesso lavoro, ma non ne voleva sapere. Si rifugia nel monastero "dello Zafferano". Poi ne viene fuori, e per dieci anni il genitore gli impedisce di frequentare la Chiesa. Persevera, l¡¯ha vinta. Ora è un figlio di cui i genitori sono orgogliosi.

Monsignor Bizzeti approfondisce alcuni testi dei padri della tradizione siriaca
Monsignor Bizzeti approfondisce alcuni testi dei padri della tradizione siriaca   (© Antonella_Palermo)

Le cose che contano: l¡¯amore, la vita semplice, la misericordia

Quando non c¡¯è la scuola di lingua siriaca, è possibile alloggiare nella guest house costruita anche grazie all¡¯associazione AMO, a patto che si desideri vivere in silenzio e preghiera. Aho non vuole che questo luogo diventi un museo, un¡¯attrazione non consona: non potrebbe più pregare, attività imprescindibile e prioritaria. Durante i cinque rigidi mesi invernali resta completamente da solo, arriva a perdere la voce, parlando con nessuno: ¡°Un tempo perfetto per la vita spirituale¡±. Accenna al materialismo che si diffonde ovunque: ¡°Prima con poche cose ci si arrangiava, oggi no. L¡¯amore, la vita semplice, la modestia, la misericordia: questo basta¡±. Nella zona vivono 500 famiglie. Il monaco è realista: essere una minoranza così sottile può portare alla completa estinzione. Eppure continua ad affidarsi al Signore, conservando docilità e tenacia. Se non l¡¯avesse avuta, la tenacia, non sarebbe scampato a mille ostacoli, dagli ¡®inspiegabili¡¯ incendi a catena ai blocchi dei lavori, incontrati nel corso di questa avventura che sa di miracolo: ¡°Dio è con me¡±.

Mor Awghin, tra cielo e terra, l¡¯ascesi che fa credibile il Vangelo

Il canto del Padre Nostro in aramaico vibra potente e qui diventa più che mai voce di tribolazione e supplica. Uscendo ci sono dei sacchettini con un pizzico di terra, il ricordo da riportare nelle proprie case. Così cielo e terra si tengono, in un unico filo di obbedienza. Ne fanno esperienza i due monaci che vivono sul monte Izlo, nel monastero dedicato a Mor Awghin (Sant¡¯Eugenio), l¡¯iniziatore di questi luoghi di preghiera, poi abbandonati durante il Medioevo dai monaci siro-orientali e in seguito gradualmente abitati dai siro-occidentali nelle cui mani sono a tutt¡¯oggi. C¡¯è un¡¯ora di salita da fare a piedi, sul fianco del monte. Ci si trova a 70 chilometri dal confine con l¡¯Iraq, a 300 da Mosul. La vista della Mesopotamia è incomparabile. Le nicchie naturali delle rocce sono nido di uccelli, incavi di meditazione. All¡¯opera di contenimento del terreno friabile si è dedicato il monaco che per primo c¡¯è tornato, integrando il lavoro delle mani con quello intellettuale per la redazione di un dizionario del lessico siriaco che mancava da quasi un secolo. Qui la giornata comincia alle 4.45 con un¡¯ora di preghiera che poi fa da contrappunto a tutto il resto del tempo. A condividere qualche parola con i pellegrini è il secondo monaco, schivo e umile, originario di questa regione e formatosi in teologia in Germania. Da qui e dalla Svezia continuano prevalentemente ad arrivare visitatori; da sei-sette anni giungono dall¡¯Europa anche studenti che stazionano qui per un periodo di sei mesi. ¡°Non siamo noi importanti ma il santo attraverso di noi¡±, racconta. La vita ascetica è praticabile e, soprattutto, è credibile.

*

Questo è il secondo di quattro episodi che raccontano il pellegrinaggio organizzato dal 27 aprile al 4 maggio 2025 dall¡¯Associazione Amici del Medio Oriente (AMO) nella Turchia siriaca. Il prossimo racconto sarà pubblicato martedì 17 giugno

 

Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui

Photogallery

Alcune immagini del Tur 'Abdin
10 giugno 2025, 10:00