Koovakad: insieme ai buddisti come compagni di viaggio sulla via della pace
Federico Piana - Città del Vaticano
«In un mondo frammentato dalla violenza, segnato dai conflitti e oppresso dall'ingiustizia, dalla povertà e dal degrado ambientale, la nostra assemblea di leader spirituali e praticanti rappresenta un potente segno di speranza». È con il discorso di benvenuto pronunciato oggi dal cardinale George Jacob Koovakad, prefetto del Dicastero per il dialogo interreligioso, che ha preso ufficialmente avvio a Phnom Penh, capitale della Cambogia, l’ottavo Colloquio buddista-cristiano che si concluderà il prossimo 29 maggio.
Oltre cento partecipanti
Organizzato dal Dicastero per il dialogo interreligioso in collaborazione con le università ed i monasteri buddisti della Cambogia e la Conferenza episcopale locale, all’evento partecipano circa 150 rappresentanti di entrambe le religioni tra i quali alcuni delegati della federazione delle conferenze episcopali asiatiche.
Lavorare insieme
Il tema scelto per l’edizione di quest’anno: “Buddisti e cristiani che lavorano insieme per la pace attraverso la riconciliazione e la resilienza” ha dato spunto al prefetto del Dicastero per il dialogo interreligioso di mettere in evidenza nel suo intervento introduttivo che «questa sessione offre uno spazio sacro in cui buddisti e cristiani si riuniscono non solo come rappresentanti di due venerabili tradizioni ma anche come compagni di viaggio, uniti da un comune impegno per la pace. Al centro del nostro incontro ci sono due tesori spirituali: la riconciliazione e la resilienza che sono profondamente radicati nelle nostre rispettive fedi e sono in grado di costruire e sostenere una pace duratura».
Contro ogni disuguaglianza
Il cardinale ha sottolineato anche come sia fondamentale, in un contesto storico dominato da enormi sopraffazioni, testimoniare il potere curativo della religione a beneficio di un mondo che definisce sempre più inquieto: «Non posso fare a meno di pensare a coloro che sono più colpiti dalla guerra e dall'ingiustizia, a coloro che soffrono direttamente e a coloro che, stanchi dei titoli dei giornali saturi di tragedie, si sono allontanati con disperazione. La realtà della sofferenza causata dalla violenza, dal pregiudizio e dalla disuguaglianza è innegabile».
Narrazioni positive
Il silenzio e l’indifferenza nei confronti delle grida dei poveri, dei profughi, degli emarginati, degli scartati, dei migranti e verso l’intensificarsi dei cambiamenti climatici e dell’erosione della dignità umana hanno bisogno, secondo il prefetto, di una risposta basata sulla compassione e sul dovere morale. «Noi — è stato il suo ragionamento — non siamo privi di speranza o di risorse per rispondere a questa chiamata. Le nostre discussioni offrono preziose opportunità per ascoltare e amplificare le narrazioni positive sulla costruzione della pace, comprese quelle che provengono dalla base. Le nostre tradizioni spirituali offrono sia una visione che una missione: ci esortano a rifiutare l'apatia e ad assumerci il difficile compito di costruire la pace. Ci sfidano a scegliere la riconciliazione invece della vendetta, la resilienza invece della rassegnazione».
Dialogo concreto
Anche il vicario apostolico di Phnom Penh, monsignor Olivier Michel Marie Schmitthaeusler, nel suo indirizzo di saluto ai partecipanti, ha espresso gioia per un evento che verrà ricordato nella storia della piccola Chiesa cambogiana: «Rafforzerà la fraternità ed il dialogo. Il dialogo della vita, aperto a ogni persona; il dialogo delle opere, attraverso l'educazione alla pace e alla solidarietà; il dialogo teologico, che vivremo durante questo convegno; il dialogo dell'esperienza religiosa, che conduce i credenti alla contemplazione per penetrare il mistero di Dio».
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