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Il cardinale George Jacob Koovakad al Summit internazionale dei leader religiosi a Kuala Lumpur, Malaysia Il cardinale George Jacob Koovakad al Summit internazionale dei leader religiosi a Kuala Lumpur, Malaysia 

Koovakad: i leader religiosi sanino divisioni e promuovano la pace

Il prefetto del Dicastero per il dialogo interreligioso in un intervento al secondo Summit internazionale dei Leader religiosi a Kuala Lumpur, Malaysia, sottolinea la “grande responsabilità” dei leader religiosi a promuovere un mondo migliore. Non possiamo “riposare sereni o dormire in pace” davanti al “grido di un’umanità ferita”, “la fede non deve mai essere un’arma”

Isabella H. de Carvalho – Città del Vaticano

Alzare “la voce contro la violenza e l’ingiusta discriminazione, affrontare con coraggio le cause alla base della nascita di conflitti e schierarci con fermezza per la protezione della nostra casa comune”. Questa è la “grande responsabilità” che hanno i leader religiosi nel mondo contemporaneo, sottolinea il cardinale George Jacob Koovakad, prefetto del Dicastero per il dialogo interreligioso, in un intervento pronunciato oggi, 28 agosto, in Malaysia durante il secondo Summit internazionale dei Leader religiosi. L’evento, che si tiene nella capitale del Paese, Kuala Lumpur, ha come tema “Il ruolo dei leader religiosi nella risoluzione di conflitti” ed è stato organizzato dall'ufficio del Primo Ministro della Malaysia, in collaborazione con la Lega musulmana mondiale (Muslim World League).

“Siamo interconnessi, siamo interdipendenti, e nessuna nazione, nessuna religione, nessun leader può affrontare da solo le sfide attuali”, afferma il prefetto. Collaborando con “i governi, la società civile, i media” e ascoltando “le voci troppo spesso ignorate” di donne, bambini, giovani o altri ancora, il cardinale esorta a “ravvivare l’energia spirituale delle nostre comunità, guidando i cuori verso la compassione e la comprensione”.

Vertice interreligioso a Kuala Lumpur, in Malaysia (28 agosto 2025)
Vertice interreligioso a Kuala Lumpur, in Malaysia (28 agosto 2025)

Le religioni e i conflitti

Nel suo intervento il cardinale identifica tre modi in cui i leader religiosi possono “contribuire alla prevenzione, alla risoluzione e al risanamento dei conflitti”. Il primo è impegnarsi per essere “voci di pace e non di violenza”. “Parliamoci chiaro: i leader religiosi non devono mai innescare l’odio”, afferma Koovakad. “Non dobbiamo mai promuovere, giustificare o condonare la violenza. La nostra vocazione è più alta: prevenire il male, risolvere dispute e sanare divisioni. Dobbiamo sempre incoraggiare le soluzioni nonviolente ai conflitti. Solo allora potremo costruire un mondo degno della nostra comune umanità”.

Il cardinale evidenzia come la religione “è spesso accusata di essere alla radice dei conflitti” o “viene sfruttata” come “comodo strumento per alimentare la divisione o giustificare l’aggressione”. Ribadisce invece che “le radici del conflitto di solito stanno nella povertà, nella disuguaglianza, nella manipolazione politica, nell’esclusione e nelle ferite profonde dell’ingiustizia” e la divisione nasce dall’uso “improprio del potere, nelle fratture sociali non sanate, e nel cuore umano quando si allontana dalla giustizia, dalla compassione e dalla ricerca della verità”.

Tuttavia riconosce che nella storia “alcuni leader religiosi hanno contribuito, direttamente o indirettamente, a provocare o a innescare conflitti”, specialmente se si guardano fenomeni “come l’estremismo religioso, i movimenti politici etno-religiosi e il fondamentalismo”. Dobbiamo “riconoscere con onestà”, continua Koovakad, “che nelle nostre tradizioni ci sono individui e gruppi che, nel nome della religione, hanno seminato divisione, commesso violenza e causato distruzione” o addirittura hanno reinterpretato o distorto “le scritture, la tradizione e la storia per giustificare la violenza”, perpetuando “la discriminazione” e privando “gli altri dei loro legittimi diritti, tra cui la libertà di religione”.

Il cardinale George Jacob Koovakad al Summit internazionale dei leader religiosi
Il cardinale George Jacob Koovakad al Summit internazionale dei leader religiosi

La fede non deve mai essere un’arma

Per questo, insiste il prefetto, i leader religiosi sono “chiamati” a ricordare alle loro “comunità che la fede non deve mai essere un’arma”, ma “una forza che guarisce”. E cita inoltre il pensiero di Papa Francesco nel suo ultimo messaggio, l'Urbi et Orbi di Pasqua, in cui faceva appello a tutti coloro che “hanno responsabilità politiche a non cedere alla logica della paura”. Il cardinale Koovakad plaude poi a incontri e iniziative che promuovono la pace e il dialogo come il Summit internazionale dei Leader religiosi, il Documento sulla “Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune” o ancora la Dichiarazione di Mecca o la Carta di Mecca.

La guarigione e la giustizia

Il cardinale Koovakad poi chiarisce che i leader religiosi non possono “riposare sereni o dormire in pace” davanti a “un mondo in cui riecheggiano il grido di un’umanità ferita e il grido della terra ferita”, specialmente di “bambini, donne e poveri”. “Come leader religiosi siamo chiamati ad alzare le nostre voci a favore di coloro che soffrono ingiustamente nei conflitti”, “a parlare con equità e coraggio” e “a guarire perché alla fine verremo giudicati per i nostri atti di misericordia e di compassione”, spiega il porporato. “La religione ha in sé un potere unico di guarire le ferite”, aggiunge, “attraverso il perdono, ma anche attraverso l’applicazione equa della giustizia e senza nascondere la verità”. Guarire è un invito alle vittime, e alle parti implicate, “a riflettere sulla possibilità di una nuova umanità attraverso la riconciliazione”. Infatti, prosegue Koovakad, “la pace vera e duratura incomincia guarendo le ferite intime dell’umanità. Solo quando saranno guariti i cuori il mondo intorno a noi potrà prosperare in pace e armonia”. 

L’importanza del dialogo interreligioso

Infine, l’ultimo modo che propone il cardinale attraverso cui i leader religiosi possono “creare un futuro di pace e di solidarietà”, in un mondo “ferito dalla diffidenza, dall’odio e dall’estremismo”, è quello di avere “il coraggio di abbattere i vecchi muri e smettere di costruirne di nuovi”, creando anche “nuovi ponti” di solidarietà. Infatti, il prefetto indica il dialogo interreligioso come una strada che da decenni abbatte le barriere “della paura, dell’ignoranza e dell’odio”. Mette in evidenza ad esempio l’impegno della Chiesa che dopo la pubblicazione di Nostra aetate, la Dichiarazione conciliare sulle relazioni con le religioni non cristiane, attraverso i vari Pontefici “da Paolo VI a Francesco e ora a Leone XIV”, è andata incontro alle religioni “dai musulmani ai buddisti, agli ebrei, agli induisti, ai giansenisti, ai sikh, ai taoisti e ai seguaci di religioni tradizionali”. Ricorda anche le prime parole di Leone XIV ai rappresentanti di altre tradizioni religiose in cui diceva che ogni comunità “reca il proprio apporto di saggezza, di compassione, di impegno per il bene dell’umanità”.

 

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28 agosto 2025, 12:07