Giubileo, i sogni dei giovani ucraini: "Portiamo la speranza per un futuro di pace"
Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano
"Porto nel cuore la speranza nel futuro, in un futuro migliore per il nostro Paese, per la pace, per l'unità e anche per un futuro migliore per il mondo intero». E’ la speranza che condivide con media vaticani Tanya, una giovane di Kharkiv, che ha partecipato all’incontro per giovani ucraini che si è tenuto giovedì, 31 luglio, presso la pro-cattedrale greco-cattolica di Santa Sofia a Roma, nel contesto del Giubileo dei giovani. I partecipanti sono venuti sia dalle diverse regioni dell’Ucraina, comprese quelle vicine al fronte, sia dagli altri Paesi del mondo dove sono emigrati con i genitori. Nel programma dell’incontro c’erano diverse attività tra cui tavole rotonde, concerti, giochi, ma anche la Divina Liturgia presieduta dal vescovo Bryan Bayda, capo della commissione per i giovani della Chiesa greco-cattolica ucraina, con la partecipazione di altri vescovi e sacerdoti del rito greco-cattolico e quello latino.
Un futuro di pace per l'Ucraina
Tanya, 17 anni, è arrivata a Roma da Kharkiv, però i suoi genitori vivono a Zolochiv che si trova a circa 10-15 km dal confine con la Federazione Russa. "La nostra città è quasi sempre sotto attacco, – racconta. – I miei genitori vivono lì e sono molto preoccupata per loro. Li chiamo ogni giorno e chiedo come va la situazione. È pericoloso viverci. Tuttavia, quella è la nostra casa e vogliamo restarci. Prego per loro e prego che ci sia pace. Sono davvero felice di essere qui al Giubileo. È molto importante per me, perché innanzitutto è un pellegrinaggio e poi perché siamo anche ambasciatori del nostro Paese. Sono davvero felice di camminare per le strade di Roma con questa bandiera sulle spalle e vedere che la gente che si avvicina per esprimere la propria solidarietà. Il Papa ha definito quest'anno l'anno della speranza. E io porto questa speranza nel mio cuore, la speranza nel futuro, in un futuro migliore per il nostro Paese, per la pace, per l'unità e anche per un futuro migliore per il mondo intero".
Celebrare Cristo
Nella piazza della parrocchia di Santa Sofia sono presenti anche alcuni giovani di altri Paesi. "Sono venuto qui, soprattutto, per l’esperienza di fede che posso fare con loro" – dice il giovane Natanaele, svizzero, di 24 anni, parlando dei suoi coetanei ucraini. In passato aveva già partecipato alla Divina Liturgia in rito bizantino-ucraino ed era rimasto affascinato "da questo altro modo di celebrare il sacrificio del Signore". "È veramente bello vederli con i loro vestiti tradizionali e, pensando anche al fatto che il loro Paese sia in guerra, si comprende lo sforzo che fanno per rimanere fedeli a Cristo. Curano anche le piccole cose per rendere bella la loro Liturgia e la vivono molto profondamente. Loro sono qua per celebrare Cristo, nonostante la guerra. Questo mi commuove molto".
Fare "il pieno di speranza"
Anche Armand, 23 anni, proviene dalla Svizzera. È arrivato a Roma a piedi, da Tagliacozzo e ci ha messo circa dieci giorni. "Non conosco molto bene i giovani cattolici ucraini, ma qualcuno del nostro gruppo di pellegrinaggio ha suggerito di vivere questa settimana una liturgia diversa da quella romana che conosciamo in Svizzera, e l'idea mi ha colpito. L'ho trovata molto bella". Con i giovani ucraini, Armand vuole trasmettere quanto sia bello sperare. "Mi auguro che possano approfittare di questo Giubileo per fare il pieno di speranza, perché sappiamo che la loro situazione non è facile. Preghiamo affinché il conflitto trovi il miglior esito possibile per loro: la pace. Che Dio li benedica nelle loro sofferenze, ma anche nelle loro gioie. Desidero dimostrare che vogliamo contribuire a un mondo migliore, un mondo con più giustizia, meno armi e che ponga la pace al centro. Avendo parlato con diverse persone del conflitto ucraino, ma anche di ciò che sta accadendo in Medio Oriente e altrove nel mondo, spesso ci sentiamo molto impotenti come giovani, e per noi cattolici, per noi cristiani, credo che rimanga, come strumento, la preghiera. Pregare ancora e ancora affinché Dio aiuti gli ucraini".
Parlare della guerra
Sofia, 17 anni, vive a Roma. Sua mamma è ucraina e ogni anno viaggia nel Paese est europeo. Essendo bilingue e avendo la meta dei suoi famigliari in Ucraina, la giovane ha un certo intuito per affrontare con i suoi connazionali i temi difficili come quello della guerra: "È un argomento molto complicato di cui parlare, soprattutto, con loro. Bisogna avere molta sensibilità e molto tatto". "Questo periodo è molto difficile per tutti, – aggiunge Sofia,– anche per noi che abitiamo qui. La pace dovrebbe essere una cosa fondamentale per tutti, non solo per noi in prima persona che viviamo determinate cose".
Le lacrime di Anastasia
La difficoltà di parlare di quello che succede nella sua città si sente nella voce di Anastasia, 18 anni, arrivata da Kherson (sud dell’Ucraina), capoluogo dell’omonima regione, metà della quale rimane sotto l’occupazione russa. La stessa Kherson è sotto i continui attacchi dell’esercito russo. "La mia amica mi ha invitato venire a Roma e ho accettato per distrarmi un po' dalla nostra dura realtà, per conoscere altre culture e rigenerarmi spiritualmente", – dice la ragazza affermando che la gente nella sua città continua a resistere. "La pace, – dice, a malapena trattenendo le lacrime, – vuol dire che tutti possono vivere tranquilli insieme alle loro famiglie e sentirsi al sicuro". Non trattenendo più lacrime, Anastasia aggiunge che una settimana fa è caduto al fronte il suo patrigno. "Non volevo lasciare mia mamma da sola però mi ha detto che lui avrebbe voluto che facessi questo viaggio".
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui