La villa e il senatore: novità dall’archeologia in Calabria
Maria Milvia Morciano - Città del Vaticano
Nel fondo Ceraso, nel territorio di Squillace, in provincia di Catanzaro, si sta delineando un quadro archeologico di grande interesse che arricchisce le conoscenze sul popolamento tardoantico dell’area compresa tra Squillace e Stalettì. Un’équipe di giovani ricercatori italiani e internazionali, guidata dai docenti Gabriele Castiglia e Domenico Benoci, del Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana (PIAC), è impegnata in una campagna di scavo che ha restituito i resti di una villa rurale di età romana, occupata ininterrottamente tra il II e il VI secolo d.C.
La missione si colloca all’interno del "Vivarium project", programma decennale di studio e valorizzazione del territorio promosso dal PIAC con il sostegno dell’arcivescovo di Catanzaro-Squillace Claudio Maniago. Il progetto non si limita all’indagine archeologica, ma punta anche a generare ricadute culturali condivise, attraverso un modello che integra ricerca, formazione, tutela e partecipazione. “È un progetto che mira alla valorizzazione e alle ricadute stabili sul patrimonio culturale dei territori indagati”, sottolinea l’archeologo Benoci.
Sono numerose le sinergie in atto: dall’Istituto di Studi su Cassiodoro, promotore del ciclo di conferenze “Giornate Vivariensi”, fino all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, sotto la direzione dei docenti Francesco Cuteri ed Elena Di Fede, e all’Associazione Arte e Fede della Diocesi di Locri-Gerace. Il consolidamento delle strutture è stato affidato al noto restauratore Giuseppe Mantella.
Le nuove scoperte: una villa rurale tra II e VI secolo d.C.
I rinvenimenti più recenti, emersi nella campagna di scavo conclusa nel luglio 2025, tracciano i contorni di un insediamento rurale di epoca romana: una struttura di una certa monumentalità, composta da un grande muro perimetrale lungo oltre 30 metri e ambienti secondari legati all’apparato termale. È in particolare il settore termale a restituire le testimonianze più ricche: il praefurnium, il forno che serviva a riscaldare tre ambienti, i calidaria, inoltre materiali ceramici e tracce d’uso, che permettono una datazione tra il II e il VI secolo. Alla fase tarda dell’occupazione si lega anche una sepoltura di un individuo subadulto, un ragazzino di circa 10 anni, con un unico elemento di corredo, una fibbia ascrivibile al VI secolo. "Questa fase di defunzionalizzazione ci restituisce elementi preziosi sull’uso e l’abbandono della villa in epoca tardoantica", spiega Domenico Benoci.
Tecniche costruttive e materiali
Dal punto di vista costruttivo, la villa mostra almeno due fasi edilizie. Il grande muro perimetrale, riferibile alla prima fase, è in opera "incerta", con bozze di pietra legate accuratamente da malta. Gli ambienti termali, invece, sono realizzati in opus testaceum, cioè filari di lateres, mattoni ben lavorati. Le strutture ipocaustiche - ovvero le parti dove circolava l'aria calda che riscaldava gli ambienti, un po' come il moderno riscaldamento a pavimento - presentano murature sottopavimentali in pietrame grossolano. "Probabilmente si trattava di una villa terrazzata, in un’area collinare affacciata su un fiume ancora attivo, da cui gli abitanti captavano l’acqua", sottolinea Benoci. La presenza di ceramiche africane negli strati di abbandono attesta una rete commerciale ampia e consolidata tra Calabria, Sicilia e Nord Africa.
Il ruolo della proprietà privata e la scoperta casuale
La scoperta è avvenuta grazie alla collaborazione attiva della famiglia Lopez Pascali, proprietaria del terreno: "La sensibilità della famiglia è stata decisiva. Hanno segnalato spontaneamente i primi rinvenimenti, emersi durante i lavori agricoli per la piantumazione di un agrumeto", racconta il coordinatore del progetto. L’area, già oggetto di attenzione nella metà del Novecento per il ritrovamento di un’epigrafe, oggi murata nel palazzo comunale di Squillace, era finora considerata “bianca” per quanto riguarda la presenza di siti rurali tardoantichi. I resti di questa villa incidono con particolare importanza nel quadro degli studi archeologici del territorio calabrese dando luce a un periodo, quello tardoantico, per molto tempo trascurato dagli interessi della passata ricerca e quindi ancora poco conosciuto nella regione.
Prospettive: dal Vivarium alla tomba di Cassiodoro
Il progetto prevede ulteriori campagne di scavo e un’estensione delle ricerche verso siti legati direttamente alla figura di Cassiodoro. Tra gli obiettivi futuri, l’indagine stratigrafica della chiesetta di San Martino a Copanello di Stalettì, ritenuta uno dei possibili luoghi del Vivarium. In questo sito, accanto all’abside triconca, fu rinvenuto negli anni Cinquanta un sarcofago "privilegiato" con graffiti votivi in greco e latino: "I pellegrini invocano il nome di Sanctus Senator, il nome intimo di Cassiodoro, testimoniando una relazione devota che merita di essere approfondita". Il sito potrebbe contenere, secondo l’ipotesi, la tomba stessa del grande senatore e uomo religioso del suo tempo.
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