Nicol¨° Govoni: non ¨¨ vero che i giovani sono pigri, hanno bisogno di ottimismo
Antonella Palermo - Città del Vaticano
"È un onore sconfinato" poter parlare a così tanti giovani in una cornice come quella di piazza san Pietro. Nicolò Govoni, scrittore e fondatore di "Still I Rise", organizzazione umanitaria in prima linea per l'educazione di bambini profughi e vulnerabili in varie aree del mondo, avverte anche un alto senso di responsabilità. È tra gli ospiti invitati all'appuntamento "Tu sei Pietro" che anima questo pomeriggio, 31 luglio, il ritrovo in Vaticano delle migliaia di giovani italiani che hanno risposto all'invito dei vescovi.
I giovani hanno bisogno di narrazioni incoraggianti
Nicolò è un trentaduenne molto concentrato sull'ottimismo. In mattinata ha partecipato a un incontro, nella basilica romana di san Giovanni Battista dei Fiorentini, a due passi da piazza san Pietro, con atleti che hanno condiviso le loro storie di speranza. Lì si concede a tantissimi selfie, saluti, abbracci. È diventato molto noto anche sui social e rappresenta una sorta di icona fatta di tenacia e valorizzazione dei propri talenti e di quelli altrui. "Ognuno di noi è chiamato a essere un 'eroe' nel proprio piccolo, tutti giorni. Ma la narrazione sociale enfatizza il disfattismo, il fatalismo, il nichlismo, il 'declinismo', la delega", racconta ai media vaticani. È una narrazione che rischia di spegnere, a suo avviso, la spinta all'ottimismo, così che rilancia il suo messaggio diventato un vero e proprio mantra per lui: "È troppo facile convincersi del fatto che 'così non funziona', che tanto vale non provarci perché nulla si può cambiare". Nicolò è convinto, e ne darà un assaggio in piazza, che le cose non solo possono cambiare, ma possono migliorare. Il fallimento, così, non ha l'ultima parola, così come l'errore, il peccato. "Tutto questo non può essere il capolinea, ma il punto di partenza. La scivolata, ce lo dimostrano tanti, può essere il punto per una ripartenza".
Non è vero che i giovani sono pigri, sono disorientati
Nicolò è in ricerca, si definisce una "persona spirituale", dice di non essere mosso da una motivazione cristiana. Di certo, ha profondamente a cuore l'umanità delle persone, la cura dello sguardo, la capacità di accoglienza senza steccati o mistificazioni. Pensare alla guerra per lui significa ripensare a chi ha speso una vita intera a rivelarne il brutale volto, Gino Strada, uno dei suoi principali ispiratori. "Il problema non è come si fa la guerra - diceva lui, il medico -, il problema è che la guerra è sbagliata. Punto. La guerra è una cura che, anziché colpire la malattia, ammazza il paziente. La guerra, dico io, è uno strumento barbaro per risolvere i problemi". Partito nel 2013 per l'India dove ha studiato per quattro anni giornalismo, ha fondato nel 2018. "I ragazzi hanno bisogno di modelli di riferimento positivi. Non è vero che sono pigri, sono solo paralizzati perché si sentono bombardati da messaggi contraddittori: i messaggi sull'economia, sul lavoro, sul futuro arrivano a loro come molto scoraggianti". Dall'altra parte, osserva, ci sono influencer che mostrano vite eccessive, sfolgoranti, che esaltano l'apparenza. I giovani ne sono anestetizzati e finiscono per non rendere conto più a nessuno. Sono interdetti e dicono: ma che devo fare? Il ragazzo riconosce ai social, che pure sono molto premianti nei confronti della propria esperienza a favore dei più svantaggiati, "un potere gigantesco ma sono uno strumento estremamente esigente. E questo è pericoloso perché facendo i video è vero che si possono guadagnare tantissimi soldi ma ti privano della vita, diventano una prigione".
La storia di Idris, bambino di strada a Nairobi, che ora ha un futuro
Una storia su tutte che gli è rimasta dentro in questi anni è quella di Idris, un bambino trovato per strada a Nairobi (Nicolò vive in Kenya), senza genitori. "Viveva in un sottoscala. Inalava la colla e come tutti quelli che si fanno di colla poteva avere una aspettativa di vita di cinque anni. È venuto a scuola da noi. Alcune persone che lavoravano con me mi hanno chiesto: hai già in mente che futuro avrà Idris quando sarà espulso dalla scuola? A quel punto, sono stato io a espellere queste persone. Adesso Idris ha 15 anni. È un ragazzo molto brillante, secondo tutti non poteva farcela, invece è diventato un leader naturale. Noi non lo abbiamo mai trattato stigmatizzandolo. Lo abbiamo trattato come gli altri". Nicolò sottolinea come la storia di Idris sia l'esempio del fatto che "il trattamento riservato alla persona plasma la persona, non il contrario. Questo è il grande errore, secondo me, dell'integrazione in Italia: vedere le persone imprigionandole nelle etichette, nei pregiudizi. Abbiamo paura, ci fasciamo la testa prima di rompercela. Per esempio, arriva il bambino musulmano in classe e pensiamo subito al fatto che la sua religione islamica sarà un motivo di frizione. Ma chi lo dice che lo sarà? Il diverso, l'estraneo fa paura. I problemi spesso li inventiamo noi".
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