Nicea e la Chiesa del terzo millennio, il cammino di unità tra cattolici e ortodossi
Antonella Palermo – Città del Vaticano
Il 1700.mo anniversario del Concilio di Nicea, pietra miliare nella storia della Chiesa - come lo ha definito lo stesso Papa Leone XIV - potrebbe diventare un momento ecumenico significativo se si riuscirà a perseguire con determinazione gli obiettivi del rinnovamento e dell'approfondimento del suo credo, della rivitalizzazione di uno stile di vita sinodale all'interno delle varie Chiese e del recupero di una data comune per la celebrazione della Pasqua. Così il cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, nel suo intervento di oggi pomeriggio, 4 giugno, in apertura della conferenza ecumenica internazionale “Nicaea and the Church of the Third Millennium: Towards Catholic-Orthodox Unity” ospitata dalla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino fino a sabato 7 giugno per commemorare la ricorrenza.
Il convegno è organizzato dall’Istituto di Studi Ecumenici “Œcumenicum” dell’Angelicum e dall’Associazione Teologica Ortodossa Internazionale (IOTA), in collaborazione con il Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e con il contributo di 25 istituzioni accademiche. Più di 250 i partecipanti (ecclesiastici, membri di commissioni di dialogo, ufficiali di organismi ecumenici, studiosi) provenienti dalle maggiori tradizioni cristiane (cattolica, ortodossa, ortodossa orientale, anglicana, luterana, riformata, battista). Al centro la riflessione su come il Concilio di Nicea possa rappresentare un terreno comune per l’unità dei cristiani, su come la sinodalità e il primato possano promuovere la comunione ecclesiale, e la celebrazione comune della Pasqua possa sostenere la riconciliazione tra i cristiani.
Dopo la preghiera ecumenica e il saluto introduttivo del rettore dell’università Thomas Joseph White O.P., sono intervenutI: il presidente di IOTA, Paul L. Gavrilyuk, professore di Teologia e Filosofia all’università di San Tommaso, nel Minnesota (USA); il domenicano Hyacinthe Destivelle, direttore dell’Istituto di Studi Ecumenici dell'ateneo pontificio; il cardinale Kurt Koch, il metropolita Job di Pisidia (Ihor Getcha), del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e l’arcivescovo anglicano Rowan Williams.
Il Credo cristologico sia rinnovato nell’unità ecumenica
La comunione con le Chiese ortodosse è stata tra gli auspici prioritari di Papa Francesco, ricorda il porporato. Per Bergoglio l'ecumenismo è una questione di fede e l'unità della Chiesa è da riconquistare attraverso l'impegno ecumenico che non potrà mai essere altro che l'unità nella fede apostolica. Nel Concilio di Nicea, i padri conciliari (si ritiene fossero 318 dei circa 1.800 vescovi della Chiesa antica invitati) professarono la loro fede in Gesù Cristo come Figlio della stessa sostanza del Padre e rifiutarono pertanto il concetto di un rigido monoteismo filosofico promosso da Ario. Il Credo di Nicea rappresenta quindi una tappa importante, anche se non ancora completa, nel cammino verso il Grande Credo di Costantinopoli. Unanimemente accolto dal cristianesimo ortodosso, cattolico e protestante, il Credo di Nicea e Costantinopoli rappresenta quindi il più forte legame ecumenico della fede cristiana. “È quindi auspicabile – osserva il cardinale Koch - che il 1700.mo anniversario del Concilio di Nicea sia celebrato da tutta la cristianità in uno spirito di ecumenismo e che il suo Credo cristologico sia rinnovato nell'unità ecumenica”.
I cristiani che faticano a riconoscere in Gesù il Figlio di Dio
Oggi ci troviamo di nuovo in una situazione simile a quella del IV secolo, nella misura in cui c'è una forte ripresa delle tendenze ariane, ammette ancora il cardinale laddove rileva che molti cristiani sono attratti dalla figura storica di Gesù di Nazareth, ma trovano molto difficile professare la fede che Gesù è il Figlio unigenito del Padre celeste. La questione è che “non si può ottenere una maggiore accettazione della fede cristiana nel dialogo interreligioso escludendo o addirittura rifiutando il suo cuore, ovvero la credenza nella Trinità”. Se infatti Gesù fosse solo un uomo vissuto duemila anni fa, allora sarebbe irrimediabilmente scomparso. Invece, prosegue Koch, chi entra in contatto con l'uomo Gesù entra in contatto con il Dio vivente stesso; del resto, per riferirci all’Incarnazione, si dice che Gesù Cristo è “perfetto nella Divinità e perfetto nell'umanità” e che in lui le due nature esistono “non mescolate, non modificate, non divise e non separate”.
L’ecumenismo è ecumenismo di Cristo
“Rivitalizzare la confessione di Gesù Cristo, imparare di nuovo a vederlo in tutta la sua grandezza e bellezza – scandisce il prefetto vaticano -, è un compito urgente del nostro tempo, che deve essere intrapreso in comunione ecumenica”. E qui riprende il motto scelto da Papa Leone XIV “In illo uno unum” che esprime il senso profondo dell’ecumenismo cristiano da comprendere e realizzarsi come ecumenismo di Cristo. Questo, in sostanza, hanno confessato i Padri del Concilio di Nicea.
Sinodalità ed ecumenismo
Il Credo del Concilio di Nicea non è solo il risultato di una riflessione teologica, precisa ancora il cardinale Koch, ma l'espressione di uno sforzo da parte dei vescovi verso una formulazione ortodossa e dossologicamente appropriata della fede cristiana. In questa prospettiva, è stato un evento pienamente sinodale e tale deve essere considerato anche l’anniversario che quest’anno si celebra. La sinodalità è infatti ancorata ai dialoghi ecumenici, ne è frutto, e se vuole costituire una dimensione importante nell’ambito della Chiesa cattolica deve nutrirsi proprio delle esperienze e dalle riflessioni teologiche di altre Chiese. È questa una priorità anche per Leone XIV e lo ha dichiarato fin dal suo primo discorso dopo l’elezione. Per quanto riguarda il dialogo cattolico-ortodosso, afferma Koch, il documento base resta "Conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della Chiesa: Comunione ecclesiale, conciliarità e autorità", adottato nell'assemblea plenaria di Ravenna del 2007, in cui c’è la convinzione teologica che sinodalità e primato sono reciprocamente dipendenti, e che questa interdipendenza deve essere realizzata a tutti i livelli della Chiesa - locale, regionale e universale.
La questione cruciale della data della Pasqua
La questione pastorale più significativa trattata nei venti canoni del Concilio di Nicea è stata quella relativa alla data della Pasqua. L’assise stabilì innanzitutto che sarebbe stata celebrata la domenica successiva al primo plenilunio dopo la fine dell'anno e che la data esatta della Pasqua non doveva più essere determinata dal calendario ebraico. Con l’introduzione, nel XVI secolo, del calendario gregoriano, la Pasqua viene celebrata la domenica successiva alla prima luna piena di primavera, uso conservato nelle Chiese occidentali mentre quelle d'Oriente continuano in gran parte a celebrare secondo il calendario giuliano. Il prefetto del Dicastero vaticano per l’Unità dei Cristiani rimarca la necessità di rinnovare gli sforzi per determinare una data comune per la Pasqua in uno spirito di comunione ecumenica: “Il principio guida deve essere quello di non causare nuove tensioni o divisioni all'interno della comunità ecumenica”. In questo modo verrebbe fuori una testimonianza “più credibile” nel ritenere la Pasqua non solo la festa più antica, ma anche quella centrale del cristianesimo.
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