Polonia, beatificate 15 suore uccise nel '45, Semeraro: testimoni profetiche di pace
Isabella Piro – Città del Vaticano
Christophora Klomfass e le sue quattordici compagne “oggi ribadiscono con la loro testimonianza il valore perenne di Dio e del bene, mentre i loro assassini vengono ricordati soltanto per l’efferatezza del male compiuto”: il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei santi e rappresentante del Papa, ha tratteggiato così la vita e il martirio delle quindici religiose della congregazione di Santa Caterina Vergine e Martire che stamani, sabato 31 maggio, sono state beatificate a Braniewo, nell’arcidiocesi di Warmia, in Polonia. Si è trattato del secondo rito di beatificazione nel Paese in pochi giorni: il 24 maggio, infatti, a Poznań, era stato elevato agli onori degli altari don Stanisław Streich. Tra i concelebranti di stamani, erano anche il cardinale Stanisław Dziwisz arcivescovo emerito di Kraków, e l’arcivescovo metropolita di Warmia, monsignor Józef Górzyński. Numerosi i fedeli che, nonostante il forte vento, hanno partecipato alla messa celebrata nella piazza antistante la basilica di Santa Caterina.
Perdono e conversione
Presiedendo l’odierna celebrazione, il porporato ha definito le suore, martiri dell’invasione sovietica nel 1945, come “voci della coscienza che non si può zittire” e profetesse “sempre attuali della pace sulla terra e di una umanità riconciliata e concorde”. L’insegnamento che esse hanno consegnato, ha aggiunto Semeraro, si racchiude in due parole: “perdono e conversione. Ci invitano a perdonare, a togliere cioè da noi la tristezza del rancore e dell’odio. Ci spronano a convertirci e convertire: nei nostri ambienti di vita, scegliendo ogni giorno la pace, la fraternità, il rispetto della libertà degli altri, la serenità nei rapporti umani”, ha detto il cardinale.
Vittime di violenze e abusi a causa della fede
Suor Klomfass e le sue compagne subirono il martirio a causa della loro fede. La prima a morire fu proprio Christophora, uccisa il 21 gennaio 1945, quando non aveva ancora compiuto 42 anni. Una settimana dopo, il 27 gennaio, le consorelle Sekundina Rautenberg e Adelgard Bönigk furono catturate dai militari russi, i rosari che portavano legati in vita furono attaccati a un’automobile e così furono trascinate per le strade di Rastenburg (oggi Kętrzyn), finché non spirarono. Violenze, maltrattamenti, marce forzate e ferite letali spezzarono le vite delle altre religiose: Mauritia Margenfeld fu catturata dall’Armata Rossa ad Allestein, venne abusata ripetutamente dai soldati e poi condotta in marcia forzata sino a Praschnitz (oggi Przasnysz), per essere costretta il giorno successivo a raggiungere, sempre a piedi, Zichenau (oggi Ciechanów), distante 27 km. Da qui, fu deportata a Tula dove si prese cura dei malati di tifo. Morì per i maltrattamenti subiti il 7 aprile. L’ultima in ordine cronologico a spegnersi fu Saveria Rohwedder, il 25 novembre, per le percosse inflittele da un soldato russo che si scagliò contro di lei solo perché indossava l’abito religioso. Mentre veniva colpita senza pietà, disse al suo aguzzino: “Io ti perdono”.
La persecuzione “sottile” dei cristiani di oggi
Ottant’anni dopo, la persecuzione dei cristiani c’è ancora ed è reale, anche se “più sottile, a volte, combattuta con le armi della cultura e delle comunicazioni sociali”, ha osservato il prefetto. Essa si manifesta come “un’azione avversa, falsa e irridente, che inonda continuamente le case e le famiglie, le menti e le coscienze”. Il vero martirio quotidiano, allora — ha evidenziato Semeraro — è “opporsi oggi a questa cultura, un impegno non senza conseguenze per tutti coloro che portano avanti un lavoro educativo pienamente rispondente al messaggio di Cristo e per la promozione di un’autentica umanità”.
La forza della debolezza vince sulle atrocità
Nella vicenda delle quindici nuove beate, inoltre il cardinale Semeraro individua due elementi significativi: il primo è “l’atrocità” con cui i soldati dell’Armata rossa infierirono su di esse, costringendole a morti violente e feroci. “Un’atrocità che sembrò superare ogni limite — ha sottolineato il porporato —; che non si fece scrupoli a calpestare la dignità dell’essere umano e non ebbe alcun rispetto della dignità di queste donne, né del loro stato di consacrate”. In contrasto con tutto ciò ecco però, secondo elemento, “la forza d’animo e la perseveranza di queste religiose, che si sono sapute opporre alla sopraffazione con la forza della loro debolezza”, mettendo in atto una vera e propria “pedagogia martiriale”.
La carità come compimento della fede
Le nuove beate avrebbero potuto mettersi in salvo, ma non lo fecero, scegliendo di restare accanto alle persone di cui si prendevano quotidianamente cura, dimostrando così che “la carità, l’amore gratuito e disinteressato per Cristo e per i fratelli è il compimento della fede — ha rimarcato il cardinale Semeraro —, è uno slancio verso il futuro, che dà senso al tempo e lo rende attesa di un incontro; è vivere ogni circostanza con la certezza di non essere soli, di poter confidare su di una presenza che è più grande di tutto e di tutti”.
L’amore evangelico trionfa su ideologia dell’odio
In tal modo, “davanti a coloro che allora sembravano i più forti e che, ubriacati dal materialismo, sostituivano l’unico vero Dio con idoli umani fragili ed effimeri”, le quindici religiose hanno dimostrato che “il bene trionfa sempre sul male” e che il messaggio evangelico dell’amore vince “l’ideologia dell’odio e della violenza”.
L’invocazione della pace
Infine, a pochi giorni dall’ottantesimo anniversario della fine della seconda Guerra mondiale, celebrato l’8 maggio, il prefetto del Dicastero delle Cause dei santi ha auspicato che l’odierna beatificazione possa rappresentare “un’invocazione di pace per tutto il mondo, con un pensiero particolare alla guerra che si sta combattendo” in Ucraina, a poca distanza dalla Polonia. “Mai più la guerra! — ha concluso il porporato, richiamando l’appello di Leone XIV nel suo primo Regina Caeli dell’11 maggio — Specialmente dove colpisce con crudeltà gli innocenti, molti dei quali bambini”.
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