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Parolin ai futuri nunzi: no vanagloria, ma ³Ü³¾¾±±ô³Ùà per ricomporre i conflitti

Il Segretario di Stato ha presieduto i Secondi Vespri nella memoria di Sant’Antonio Abate alla Pontificia Accademia Ecclesiastica e ha offerto indicazioni pratiche su come svolgere l'"ardua ma affascinante" missione della pace che spetta alla diplomazia pontificia: “Non cercare luci della ribalta ma esercitare l’³Ü³¾¾±±ô³Ùà compiendo gesti di bene gratuiti e nascosti, aiutando chi vive momenti difficili in comunità e uffici, non ferendo gli altri con le paroleâ€

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Ai futuri nunzi, ai quali spetta l’"ardua ma affascinante missione di ricomporre, nella Chiesa e nel mondo, animosità e conflitti", il cardinale Pietro Parolin ha offerto indicazioni concrete per svolgere un ministero come quello della diplomazia pontificia che non è certo scevro da "fatiche e urgenze" e, talvolta, anche da "solitudini". Anzitutto, non ricercare luci della ribalta, poi compiere "gesti benefici, gratuiti e nascosti", magari verso una persona o un collega in difficoltà nelle proprie comunità e uffici, quindi non ferire con le parole il prossimo e non cedere a quello che tante volte Papa Francesco ha definito "chiacchiericcio". In altre parole esercitare l’"umiltà", virtù quanto mai urgente in un tempo oggi di odio e conflitti "inquietanti".

Umili, non remissivi

Il segretario di Stato ha presieduto i Secondi Vespri per gli “abitanti†della Pontificia Accademia Ecclesiastica, la cosiddetta “scuola dei futuri nunziâ€, lo scorso 17 gennaio, in occasione della memoria liturgica di Sant’Antonio Abate. Proprio la figura del santo eremita che avviò il monachesimo cenobitico e che è esempio di fiducia totale a Dio, ha fatto da guida alla riflessione del cardinale che ha esortato i sacerdoti che studiano per diventare rappresentanti del Papa nel mondo ad essere, appunto, come sant’Antonio “umiliâ€. Che non significa essere “remissivi e titubanti, quasi fossimo circondati da uno sfondo di inadeguatezza†e neppure significa “sentirsi piccoli†ma “farsi piccoliâ€. Atteggiamento ben diverso, alimentato dalla certezza che “questa piccolezza è la via per la quale il Signore può operare grandi cose, se riponiamo in Lui la fiducia senza ricercare le luci della ribaltaâ€.  

Una famiglia sparsa nel mondo ma non disunita

Il segretario di Stato, nella sua omelia, si è soffermato pure sul concetto di unità per rassicurare dal fatto che i diplomatici, anche in mezzo alle fatiche che il loro lavoro comporta, non sono mai da soli ma “in famigliaâ€. Si dice infatti “Corpo diplomaticoâ€, con il sostantivo “corpo†inteso “come unità di molte parti diverse†e soprattutto come “riflesso del Corpo di Cristo che è la Chiesa, nel quale siamo inseriti e che siamo chiamati a edificare nell’unitàâ€. Quella della diplomazia pontificia è una famiglia “sparsa nel mondo ma non disunitaâ€, ha detto il cardinale; “nonostante si svolga prevalentemente all’interno di un ufficio, concerne la vita di molte persone e comunità†ma a volte, è vero, sperimenta “solitudiniâ€.

Solitudine e consolazione

Come fare in questi momenti in cui sopraggiunge anche uno scoraggiamento? È sempre Sant’Antonio a offrire l’esempio: per vario tempo l’abate si trovò “immerso in un’aspra lotta interiore che non gli dava tregua, in particolare contro la tentazione di cedere alla nostalgia e ai rimpianti della vita passataâ€. Dopo tanto tormento il Signore, vedendolo combattere, resistere e vincere, lo consolò e gli assicurò per sempre il suo aiuto. “Può succedere pure a noi di provare momenti di delusione e smarrimento - ha detto Parolin - ma credo che l’importante sia abbandonarsi non al nostro sentire, quanto alla fedeltà del Signoreâ€.

Dall'io a Dio

Si tratta di spostare il “baricentro†da sé stessi al Signore. È una questione di umiltà, strumento che aiuta a superare le situazioni di difficoltà e quella sensazione che tante cose vadano “di male in peggioâ€. Una tentazione, questa, che oggi capita sovente “vedendo imperversare nel mondo molto odio e conflitti inquietanti, che possono instillare un certo pessimismoâ€, ha scandito il cardinale. Sempre sant’Antonio prese l’umiltà “come compagna di vita, rinunciando a sé stesso per il Signore; anteponendo il suo Dio al suo ioâ€. Questo l’atteggiamento da seguire perché “genera fiduciaâ€, “ci fa sentire amati e mai abbandonati†e aiuta a mantenere una serenità interiore “laddove siamo chiamati a rinunciare a certe circostanze o ambienti che sono più graditi, per inoltrarci in trasferte geografiche e lavorative forse impensateâ€.

Attenzione alla vanagloria

Il cardinale ha infine messo in guardia dalla “vanagloriaâ€, tentazione - diceva Pascal - su cui vigilare in quanto “onnipresenteâ€. L’umiltà ne è “rimedio†e la si può esercitare “coltivando attenzioni per gli altri, compiendo gesti benefici, gratuiti e nascosti. Penso, ad esempio – ha detto Parolin - ai riguardi verso una persona che in comunità, in ufficio o in Nunziatura sta attraversando un periodo difficile; al tempo da dedicare all’ascolto di un fratello; alla vicinanza a un collega distante che sta passando un momento di prova; alla fermezza nel non ferire con le parole e soprattutto nel non riferire male degli altri. A tale proposito, quanto ce ne parla il Santo Padre!â€.

Proprio pensando a Papa Francesco, il segretario di Stato ha citato il santo di Assisi da cui il Pontefice ha preso il nome. Il Poverello, a proposito di umiltà, era solito dire: “Un uomo è quanto è agli occhi di Dio, nulla piùâ€. Ecco, ha concluso Parolin, “la nostra gloria è questa e nessun’altraâ€.

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20 gennaio 2024, 09:00