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Diane Foley dal Papa: così ho perdonato l'assassino di mio figlio

Un'intervista esclusiva dei media vaticani alla madre del giornalista James W. Foley, rapito e ucciso dall'Isis. Diane Foley è stata ricevuta da Leone XIV insieme allo scrittore Colum McCann, con cui ha scritto un libro per raccontare, oltre alle vicende legate alla morte del proprio figlio, il percorso umano e interiore intrapreso, un sofferto cammino d'amore e di volontà di comprensione che l'ha portata a incontrare anche uno degli assassini

Eugenio Murrali - Città del Vaticano

Diane Foley è una madre. Non c’è definizione più esatta per raccontare questa donna e la sua “storia di misericordia”. Suo figlio è James W. Foley, Jim, un giornalista rapito nel nord della Siria nel 2012 e decapitato dall’Isis due anni dopo. Nell’ottobre 2021 Diane ha avuto la forza e la determinazione di incontrare Alexanda Kotey, uno degli assassini di suo figlio, di parlargli, di fargli sapere chi fosse davvero Jim, quel ragazzo generoso, coraggioso, interessato a raccontare le vite e la verità delle persone che incontrava. Diane ha fissato per sempre, nel libro scritto con il grande narratore Colum McCann, Una madre, il ritratto di questo figlio amato, che le è stato brutalmente sottratto, ma ha ancorato con parole durature anche il suo percorso di dolore, di compassione, di comprensione per affrontare, senza mai rinunciare all’umanità, la perdita di Jim, per guardare negli occhi chi ha contribuito alla sua morte, per non smettere di fare e farsi domande, sostenuta dalla fede, dalla forza fondamentale della preghiera. Oggi Diane ha portato la memoria di Jim da Papa Leone XIV, che l’ha ricevuta in udienza privata, un altro segno della grazia in questi difficili anni, di cui parla in questa intervista dei media vaticani.

Diane Foley, che cosa significa per lei, per la storia di suo figlio, aver incontrato Papa Leone XIV?

Un dono incredibile. Come americani, siamo così onorati e grati di avere un Papa nato negli Stati Uniti, perché abbiamo bisogno di guarigione e speranza nel mondo. Come cittadina americana, sono profondamente onorata di averlo incontrato e pregherò per lui, perché abbiamo bisogno della sua guida per la pace e la speranza nel mondo.

Quando ha deciso di incontrare Alexanda Kotey, uno degli assassini di suo figlio, ha sentito il bisogno di dirgli chi fosse Jim. Chi era Jim? Perché voleva raccontare a Kotey di suo figlio?

Penso che quando si è immersi nella guerra e nell’odio, nel jihad con l’Isis, non si vedano volti. Non si vedono persone. Pensi solo al tuo odio. Io volevo umanizzare Jim, perché Jim era un innocente, era un giornalista, un uomo di pace, molto interessato a raccontare le storie del popolo siriano. Volevo che Alexanda capisse che le persone scelte come bersaglio cercavano di dare speranza al popolo della Siria: giornalisti, operatori umanitari. Non erano combattenti. Non portavano armi. Volevo conoscesse Jim, perché Jim era anche un insegnante e si prendeva davvero cura degli altri, amava accompagnare giovani uomini in cerca della loro strada. Jim ha trascorso molti anni in Teach For America, un’organizzazione che lavora con giovani uomini e donne, insegnando loro, spesso bambini molto poveri o che lottano nelle zone difficili delle nostre città. Volevo solo che Alexanda sapesse che tipo di persona era Jim, che in un’altra vita sarebbero potuti persino essere amici. Riuscivo a immaginare Jim persino ad accompagnare Alexanda quando era giovane. Perché il povero Alexanda aveva perso suo padre da ragazzo. E penso che fosse una persona in ricerca, ma ha guardato nei posti sbagliati.

Nel libro che ha scritto con Colum McCann ricorre la parola compassione. Attraverso questo sentimento possiamo impedire ad atti disumani di limitare la nostra umanità?

Certamente. Penso che Colum McCann,  con la sua organizzazione Narrative 4 parli di compassione radicale. E Jim aspirava a essere un uomo di coraggio morale, a fare la differenza nel mondo, nel suo piccolo. La compassione è parte del modo in cui dobbiamo osare parlare con persone che non comprendiamo, o che forse non ci piacciono nemmeno. Abbiamo bisogno di una via per comunicare, per poter avere un po’ di compassione gli uni per gli altri. E questo è stato il miracolo del mio incontro con Alexanda. Lui mi ha davvero ascoltata, e io ho pregato per la grazia di ascoltare lui. Ed è stata una grazia. Lo Spirito Santo era presente in modo molto profondo. È stata una benedizione. Molto triste, ma è stata una benedizione.

“Conoscere il come della morte di una persona amata è conoscere meglio la vita della persona amata”, si legge nel libro. Cosa ha imparato di più su suo figlio e, in generale, sull’esistenza attraversando questo dolore?

Ho imparato di più. Dopo che Jim è stato ucciso, eravamo sotto shock. Non ci aspettavamo mai un odio simile. Ma uno dei suoi amici d’infanzia ha realizzato un documentario su Jim, The James Foley Story. E in quel documentario ha intervistato gli ostaggi europei che sono tornati a casa. Attraverso quegli ostaggi ho scoperto cosa era successo nei due anni in cui Jim è stato tenuto prigioniero, e come hanno sofferto, ma anche come hanno fatto comunità e come si incoraggiavano a vicenda. E ne ero grata perché potevo dire che Jim sentiva le nostre preghiere, e che Jim trovava una maniera di pregare, di trarre forza da Dio. Sono così grata per questo e per le brave persone tra le quali era: giornalisti, operatori umanitari, con cuori buoni e che volevano davvero fare del bene nel mondo.

Lei è una donna di fede. Quanto è stata importante la preghiera per vivere giorno per giorno la prigionia di suo figlio e poi il lutto?

Semplicemente fondamentale, fondamentale. Voglio dire, sono così grata. In molti modi, Dio mi ha preparata per tutta la mia vita. Perché ho ricevuto il dono della fede da adolescente, e la mia fede in un Dio misericordioso e amorevole è sempre stata molto importante per me. Ma è un dono, solo un dono. Quindi sapevo che Dio era presente. E molti, molti angeli sono stati mandati a circondarci dopo che Jim fu ucciso. Molti angeli, molte benedizioni. Basti pensare alla benedizione di oggi: incontrare Sua Santità. Dio è stato molto buono con me, e mi ha sostenuta insieme alla Beata Madre in tutto questo. Mi ha tenuta salda.

Lei ha dato vita a una fondazione intitolata a Jim. Quali sono i suoi obiettivi e che risultati ha raggiunto?

A tre settimane dall’uccisione di Jim, abbiamo fondato la James W. Foley Legacy Foundation. L’intento era ispirare il coraggio morale di sostenere il ritorno dei nostri cittadini statunitensi quando vengono catturati o ingiustamente arrestati all’estero, e di promuovere la sicurezza in generale. Jim e gli altri americani, gli inglesi, furono uccisi perché il nostro governo scelse di non provarci nemmeno. Il nostro governo non negoziò nemmeno con i rapitori. Quindi ho sentito che era immorale. Ero arrabbiata e sentivo che dovevamo sfidare il nostro governo al suo dovere di proteggere i propri cittadini, cittadini innocenti, quando vengono catturati all’estero, non perché abbiano commesso qualche crimine, ma semplicemente perché sono americani. Quindi grazie a Dio, e a molte brave persone, più di 170 dei nostri cittadini sono tornati a casa liberi dalla prigionia all’estero. E ora i giornalisti sono più consapevoli della necessità di proteggersi e di stare al sicuro, perché oggi sono presi di mira. Passo gran parte delle mie giornate cercando di ispirare altre persone a usare i loro doni per il bene, ad aspirare ad avere un coraggio morale, a condividere i loro doni con il mondo. Sono successe tante cose in undici anni, ma la maggior parte viene da Dio, perché quando accadono cose brutte, spesso è allora che le persone buone si fanno avanti e fanno accadere cose buone. Sono molto grata a Dio.

Cosa ha significato per lei la vicinanza di Papa Francesco, dopo l’uccisione di suo figlio?

La sua telefonata è stata un dono profondo. Ha chiamato molto presto. Un paio di giorni dopo l’uccisione di Jim, prima che chiunque dal nostro governo chiamasse. Ed è stato molto toccante, perché dei parenti di Papa Francesco avevano avuto un incidente d’auto, e lui stesso stava vivendo il proprio dolore, ma ha scelto di raggiungerci. Eravamo toccati e onorati. E mio cognato, che è di Madrid, era presente, quindi ha potuto parlargli in spagnolo. Tutti capiamo lo spagnolo, ma io non sono molto fluente. È stato un dono. E anche il modello di Papa Francesco è stato un dono per me. Ho ascoltato tanti suoi audiolibri.

Dal suo libro capiamo che la conoscenza dell’altro, il dialogo, l’incontro possono produrre grandi cambiamenti. È un’indicazione che può valere più in generale per questo complicato momento storico?

Certamente. Io sono qui grazie all’incontro di Rimini, che mi ha così colpita, perché cerca di riunire persone di tutti i Paesi e da tutto il mondo per dialogare, per pregare, per essere ispirati dallo Spirito Santo, per imparare insieme e per discutere insieme. Dobbiamo farlo di più, perché quello che sta accadendo a Gaza ora è disumano, ed è così tragico. E in Ucraina, e in Sudan, e in tante parti del mondo. Quindi è anche per questo che sono così grata per la guida di Papa Leone XIV e  per il suo appello alla pace. Ci sono molte belle mostre a Rimini, ma una riguardava i diciannove martiri d'Algeria. È stata molto toccante, e il cardinale Jean-Paul Vesco era presente e ne ha parlato. Un'altra, bellissima, era sulle profezie di pace, in gran parte realizzata da ragazzi giovani, adolescenti, che erano stati sfidati a cercare operatori di pace a Gaza, in Sudafrica, in luoghi di conflitto, in Ucraina. Trovare le persone che operano per la pace in mezzo al conflitto è stato molto, molto potente, perché quelli sono gli eroi. Quelle sono le persone che piantano i semi della pace. È stato un onore essere a Rimini. 

Salman Ruhsdie ha definito il suo libro “una storia spettacolare di violenza e perdono”. Condivide questa definizione?

Il perdono implica la misericordia, la misericordia di Gesù, la misericordia di Dio. Non può esserci perdono senza misericordia. La giustizia è necessaria, sì, ma la cosa più grande è la misericordia, che dobbiamo avere gli uni per gli altri: perdonarsi a vicenda, capire che siamo tutti imperfetti, siamo tutti peccatori, e abbiamo tutti bisogno della misericordia di Dio. Per me, è una storia di misericordia. 

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29 agosto 2025, 16:00