Ruffini, quella telefonata del Papa trasformata in preghiera
Paolo Ruffini
La telefonata con Buzz Aldrin, il secondo uomo a mettere piede sulla Luna esattamente 56 anni fa; e a vedere con i propri occhi la Terra da lassù.
Le parole pronunciate da Leone XIV sul mistero della Creazione, la sua grandezza e la sua fragilità, dopo aver anche lui contemplato al telescopio la bellezza del firmamento.
L’appello accorato del Papa, dopo l’attacco dell’esercito israeliano contro la parrocchia cattolica della Sacra Famiglia a Gaza City, a porre fine alla barbarie della guerra, a cercare una soluzione pacifica al conflitto, a osservare il diritto umanitario, a rispettare l’obbligo di tutela dei civili, il divieto di punizione collettiva, di uso indiscriminato della forza e di spostamento forzato della popolazione. La scelta di pronunciare uno per uno i nomi delle tre vittime del raid sulla Chiesa, non perché cristiani, ma per ribadire che ogni vita è sacra come lo è ogni luogo di culto. Per dare un nome a tutte le vittime innocenti di una inutile strage che continua. Vittime ciascuna con un nome, un cognome, una storia; laddove ogni giorno si elencano solo i numeri.
Sono momenti, diversi tra loro. Come dei quadri. Vicini nel tempo, ma diversi, ci dicono una stessa cosa sul senso della pace e il non senso della guerra. Descrivono in maniera precisa come la comunicazione — fatta di gesti, di immagini, di parole — possa essere allo stesso tempo disarmata e disarmante.
A un certo punto, la telefonata con Buzz Aldrin si è trasformata in preghiera. Con le parole del Salmo 8. Che parla al Signore della grandezza delle sue opere: del cielo, della Luna, delle stelle; e poi dell’uomo. Così piccolo e così grande. Un puntino minuscolo, anzi nemmeno visibile dalla Luna. Eppure «gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi».
Per cosa? Ecco, per cosa.
Bastano poche parole, e poche immagini, per mettere ognuno dinanzi alle proprie responsabilità. Per le cose dette e non dette, fatte e non fatte. E per capire che basterebbe poco per fermarsi e ricominciare. E capire che nessuno può ritenere che la verità in cui si crede o le sofferenze patite siano talmente assolute da legittimare la distruzione di vite umane innocenti. Perché violare la dignità dell’essere umano è, in definitiva, fare oltraggio a Dio, di cui egli è immagine. Rinnegare la propria storia di cui ognuno è figlio. Rovinare la meraviglia del Creato, che è la nostra casa comune.
Nel film Gravity, premo Oscar nel 2013, i due astronauti protagonisti guardano ammirati la Terra dallo spazio e uno chiede all’altra: «Dove hai messo la tua tenda?». Espressione potente visto che nel Prologo del Vangelo di Giovanni è scritto che il Verbo di Dio «ha messo le sue tende in mezzo a noi». Questo nostro piccolo pianeta dilaniato dalle guerre è così ricco di una promessa, inscritta già nell’atto della Creazione, che Dio stesso ha deciso di abitarlo e così redimerlo. Per questo le guerre che lo devastano alla fine non prevarranno.
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