Leone XIV: la vita è nelle nostre mani, diamo voce al desiderio di guarigione
Edoardo Giribaldi – Città del Vaticano
Le paralisi del corpo e dell’anima, i vicoli ciechi dell’esistenza, esterni e interiori. Blocchi invisibili che soffocano il respiro di chi vuole ancora “sperareâ€, insinuando l’idea amara che attendere, desiderare, sognare sia ormai inutile. Immobilità antiche, generate da delusioni tanto profonde da intorpidire “anche la volontà di guarireâ€. A volte ci si sente schiacciati sotto il peso di un “destino avversoâ€, e la “lotta†pare già perduta, sepolta sotto una "visione fatalistica" della vita. Eppure, proprio da quel fondo silenzioso, si leva il “desiderio più vero e profondoâ€: rialzarsi. Un anelito sommesso, ma vivo, cui è essenziale “dare voceâ€.
È un appello al coraggio quello che Papa Leone XIV rivolge ai fedeli riuniti numerosi in Piazza San Pietro questa mattina, 18 giugno, nella quinta udienza generale del suo pontificato. È un invito, quello del Pontefice, a uscire dalle proprie stasi, a non cedere alla rassegnazione.
Paralisi e vicoli ciechi
La catechesi si sviluppa a partire dalla continua contemplazione di “Gesù che guarisceâ€. In questa occasione, il Papa si sofferma sulle situazioni di stallo esistenziale, quelle in cui si avverte il soffocamento di un “vicolo ciecoâ€.
A volte ci sembra infatti che sia inutile continuare a sperare; diventiamo rassegnati e non abbiamo più voglia di lottare.
Uno stato d’animo che i Vangeli incarnano con l’immagine della paralisi. Ed è proprio sulla guarigione del paralitico, narrata nel capitolo quinto del Vangelo di Giovanni, che Leone XIV concentra la sua riflessione.
La speranza dei malati
L’episodio si svolge a Gerusalemme, durante una festa dei Giudei. Gesù “non si reca subito al tempioâ€, sottolinea il Papa, ma “si ferma invece presso una porta†adibita al lavaggio delle pecore destinate al sacrificio. Nelle vicinanze, stazionavano anche numerosi malati. Un dettaglio importante: “a differenza delle pecore, erano esclusi dal tempio perché considerati impuriâ€. Nel loro “doloreâ€, è quindi Gesù a farsi prossimo.
La Chiesa, immagine di guarigione
Gli infermi nutrivano speranza “in un prodigio che potesse cambiare la loro sorteâ€. La piscina di Betzatà – ovvero “casa della misericordia†– era ritenuta possedere acque taumaturgiche, capaci di guarigione. Quando esse si muovevano, si credeva che il primo a immergersi sarebbe guarito. Ne nasceva una “gara tra poveriâ€, una scena triste: malati che, a fatica, cercavano di trascinarsi verso la piscina. Il Pontefice ne trae una connotazione, invece, positiva, partendo dal significato originario della piscina.
Potrebbe essere un’immagine della Chiesa, dove i malati e i poveri si radunano e dove il Signore viene per guarire e donare speranza.
La delusione che scoraggia
Tra quei malati, Gesù si rivolge a un uomo paralizzato da trentotto anni: troppi. “Ormai è rassegnatoâ€, osserva Papa Leone.
In effetti, quello che ci paralizza, molte volte, è proprio la delusione. Ci sentiamo scoraggiati e rischiamo di cadere nell’accidia.
"Vuoi guarire?"
La domanda che Gesù gli rivolge sembra banale: “Vuoi guarire?â€. Eppure non è così.
È invece una domanda necessaria, perché, quando si è bloccati da tanti anni, può venir meno anche la volontà di guarire. A volte preferiamo rimanere nella condizione di malati, costringendo gli altri a prendersi cura di noi. È talvolta anche un pretesto per non decidere cosa fare della nostra vita. Gesù rimanda invece quest’uomo al suo desiderio più vero e profondo.
"Perché differire ancora la guarigione?"
La risposta è, infatti, eloquente, e delinea la “visione della vita†del paralitico. “Non ha nessuno che lo immergaâ€, dice innanzitutto.
La colpa quindi non è sua, ma degli altri che non si prendono cura di lui. Questo atteggiamento diventa il pretesto per evitare di assumersi le proprie responsabilità. Ma è proprio vero che non aveva nessuno che lo aiutasse?
A rispondere è Sant’Agostino: “Sì, per essere guarito aveva assolutamente bisogno di un uomo, ma di un uomo che fosse anche Dio. È venuto dunque l’uomo che era necessario; perché differire ancora la guarigione?â€
Alzarsi e risollevarsi
Il paralitico lamenta anche che qualcuno sempre lo precede nell’acqua. Una “visione fatalistica†dell'esistenza – sottolinea Leone XIV – che si radica quando pensiamo che le cose capitino solo per sfortuna o “destino avversoâ€.
Quest’uomo è scoraggiato. Si sente sconfitto nella lotta della vita. Gesù invece lo aiuta a scoprire che la sua vita è anche nelle sue mani. Lo invita ad alzarsi, a risollevarsi dalla sua situazione cronica, e a prendere la sua barella.
Scegliere la strada da percorrere
Quel lettuccio non va dimenticato o ignorato: è “storia†di un passato, di una malattia che fino a quel momento rappresentava un ostacolo, costringendo quella persona a “giacere come un mortoâ€.
Ora è lui che può prendere quella barella e portarla dove desidera: può decidere cosa fare della sua storia! Si tratta di camminare, prendendosi la responsabilità di scegliere quale strada percorrere. E questo grazie a Gesù!
Pregare per chi è paralizzato
Leone XIV conclude, quindi, esortando ciascun fedele a domandare al Signore “il dono di capire dove la nostra vita si è bloccataâ€.
Proviamo a dare voce al nostro desiderio di guarire. E preghiamo per tutti coloro che si sentono paralizzati, che non vedono vie d’uscita. Chiediamo di tornare ad abitare nel Cuore di Cristo che è la vera casa della misericordia!
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