Il Papa: Pietro e Paolo, la fraternità che non cancella le differenze
Edoardo Giribaldi – Città del Vaticano
Scambi sinceri, senza maschere, “a viso aperto”— così Paolo descriveva, nella Lettera ai Galati, i suoi confronti con Pietro. Due "sentieri" intrecciati, riflessi di origini e carismi diversi: l’uno, “rigoroso intellettuale”, convertito tra i bagliori della via di Damasco; l’altro, umile “pescatore di Galilea”, che lasciò "subito tutto" per seguire il Maestro. Le loro differenze, affrontate con "franchezza evangelica", non furono ostacolo ma seme di “feconda sintonia nella diversità”: comunione che che non annulla le "libertà" individuali, ma anzi le valorizza, lasciando fiorire un Vangelo radicato nelle "domande" e nelle ferite dell'umanità.
Così Papa Leone XIV nella solennità dei santi patroni della diocesi e della città di Roma. Presiedendo oggi, 29 giugno, la Messa presso l’Altare della Confessione nella Basilica di San Pietro — con la benedizione e l’imposizione dei palli ai 54 nuovi arcivescovi metropoliti — il Pontefice dipinge le due figure apostoliche come veri “pilastri della Chiesa”.
Il martirio in comune
Nell’omelia della celebrazione — a cui partecipano circa 5.500 fedeli in Basilica e altri 5.000 all'esterno, nei vari settori di Piazza San Pietro — il Papa si sofferma su due aspetti della loro testimonianza, a partire dalla “comunione ecclesiale”. Lo fa commentando i testi liturgici: nella Prima Lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, Pietro viene arrestato e imprigionato da Erode; nella Seconda Lettura, Paolo — anch’egli “in catene” — affida a Timoteo un autentico testamento spirituale, affermando che il suo sangue sta per essere “sparso e offerto a Dio”.
Sia Pietro che Paolo donano la loro vita per la causa del Vangelo.
La comunione del martirio
Questa comunione, sigillata dal "martirio", non è tuttavia una "conquista pacifica", ma un "traguardo" maturato attraverso dissimili approcci alla fede e apostolati vissuti in maniera distinta.
La loro fraternità nello Spirito non cancella le diversità dalle quali sono partiti.
Pietro, umile pescatore galileo, risponde senza riserve alla chiamata del Signore, rivolgendo la sua predicazione in particolare ai Giudei. Paolo, invece, appartenente al "partito dei farisei", inizia da persecutore dei cristiani fino a essere “trasformato da Cristo Risorto” e chiamato a portare l’annuncio “alle genti”.
Confronti con franchezza evangelica
Il Papa cita un passaggio della Lettera ai Galati: “Quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto, perché aveva torto”. Un riferimento alla "franchezza" con cui i due apostoli si sono confrontati, specialmente sul tema dell’inclusione dei "pagani", che sarà poi oggetto di discussione anche nel Concilio di Gerusalemme.
La storia di Pietro e Paolo ci insegna che la comunione a cui il Signore ci chiama è un’armonia di voci e di volti e non cancella la libertà di ognuno. I nostri patroni hanno percorso sentieri diversi, hanno avuto idee differenti, a volte si sono confrontati e scontrati con franchezza evangelica. Eppure ciò non ha impedito loro di vivere la concordia apostolorum, cioè una viva comunione nello Spirito, una feconda sintonia nella diversità.
Prendendo in prestito le parole di sant’Agostino: “Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch’essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola”.
La varietà dei doni al servizio dell’annuncio
L'essere insieme è reso possibile dallo Spirito, capace di “unire le diversità” e costruire “ponti di unità nella varietà dei carismi, dei doni e dei ministeri”.
È importante imparare a vivere così la comunione, come unità nella diversità, perché la varietà dei doni, raccordata nella confessione dell’unica fede, contribuisca all’annuncio del Vangelo.
Le diversità, laboratori di unità
Il mondo — e la Chiesa stessa — ha urgente bisogno di tale "fraternità". Nella vita pastorale, nel "dialogo ecumenico", nei rapporti "di amicizia" con il mondo, ogni realtà ecclesiale è chiamata a essere "laboratorio di unità".
Perché ciascuno nella Chiesa, con la propria storia personale, impari a camminare insieme agli altri.
Ascoltare le domande del presente
Il secondo aspetto preso in esame dal Pontefice riguarda la “vitalità della fede” di Pietro e Paolo. Al rischio di "cadere nell’abitudine", nel "ritualismo", in “schemi pastorali" ripetuti senza rinnovamenti o slanci verso le “sfide del presente", i due santi oppongono un'apertura ai cambiamenti che introduce interrogativi ed incontri con le “situazioni concrete della comunità”. Cercano strade nuove per un’evangelizzazione, che parta dalle domande reali delle persone.
Rinnovare dinamicità e vitalità della fede
L'interrogativo posto da Gesù nel Vangelo proclamato durante la Messa — “Ma voi, chi dite che io sia?” — attraversa i secoli, interpellando ciascun credente a discernere se il suo cammino di fede conservi "dinamicità" e "vitalità": quella "fiamma" che alimenta la "relazione con il Signore".
Ogni giorno, ad ogni ora della storia, sempre dobbiamo porre attenzione a questa domanda.
Leone XIV ricorda l'avvertimento di Papa Francesco, riguardo il rischio di un'adesione ridotta a un “retaggio del passato”, “stanca e statica”. Le domande da porsi, allora, diventano molteplici:
Chi è oggi per noi Gesù Cristo? Che posto occupa nella nostra vita e nell’azione della Chiesa? Come possiamo testimoniare questa speranza nella vita di tutti i giorni e annunciarla a coloro che incontriamo?
La Chiesa di Roma, segno di unità
Rispondere a questi interrogativi permette di rinnovare l’annuncio e la missione della Chiesa. In particolare, la comunità ecclesiale di Roma è chiamata a essere, più di ogni altra, “segno di unità e comunione, Chiesa ardente di una fede viva, comunità di discepoli che testimoniano la gioia e la consolazione del Vangelo in ogni situazione umana”.
Il pallio, segno di comunione
Il Papa saluta poi i “fratelli arcivescovi” chiamati a ricevere il pallio. Un paramento che è segno di unità con il Pontefice stesso, affinché, nella comunione di fede, ciascuno possa "alimentarla" nelle Chiese locali a cui è affidato.
Delegazioni della Chiesa greco-cattolica Ucraina e del Patriarcato Ecumenico
Leone XIV menziona anche i membri del Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina, presenti alla celebrazione eucaristica ringraziandoli per il loro “zelo pastorale”.
Il Signore doni la pace al vostro popolo!
Un pensiero, poi, per la delegazione del Patriarcato Ecumenico, “che è qui inviata dal carissimo fratello Sua Santità Bartolomeo”, salutata “con viva riconoscenza”. Alla celebrazione è presente anche il metropolita Emmanuel di Calcedonia – presidente della Commissione sinodale del Patriarcato Ecumenico per i rapporti con la Chiesa cattolica, a capo della delegazione che sabato è stata ricevuta in udienza in Vaticano – su indicazione del Patriarca ecumenico Bartolomeo.
L’intercessione dei santi
Il Pontefice conclude l’omelia auspicando un cammino condiviso “nella fede e nella comunione”, invocando l’intercessione dei santi Pietro e Paolo “su tutti noi, sulla città di Roma, sulla Chiesa e sul mondo intero”.
Benedizione e imposizione dei palli
Successivamente, la funzione eucaristica, concelebrata dal cardinale Stephen Brislin, arcivescovo di Johannesburg, in Sud Africa, e dal cardinale Robert Walter McElroy, arcivescovo di Washington, capitale degli Stati Uniti, vede compiersi i riti della benedizione e dell’imposizione dei palli. I diaconi prelevano i paramenti dalla Confessione di san Pietro e li presentano al Pontefice. Il cardinale proto-diacono, Dominique Mamberti, introduce i nuovi arcivescovi metropoliti, i quali pronunciano il giuramento di fedeltà al Papa e alla Chiesa di Roma.
Arcivescovi da tutto il mondo
Dagli Stati Uniti, terra natia di Papa Prevost, al Perù, suo luogo di missione. Dall’Italia agli angoli più remoti della Terra: Papua Nuova Guinea, Guam, Nuova Caledonia. È variegata la schiera dei 54 arcivescovi metropoliti sulle cui spalle il Pontefice stesso pone il paramento, scambiando poi con ciascuno un abbraccio e qualche parola.
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