A tu per tu con Francesco, il Papa e i detenuti
Amedeo Lomonaco - Città del Vaticano
Lâattenzione per i carcerati è stata una delle bussole che hanno orientato il Pontificato di Papa Francesco. Lâapertura della Porta Santa a Rebibbia e la visita nel carcere di Regina Caeli, pochi giorni prima di morire, sono solo le ultime istantanee di questa densa pagina del suo magistero.
Storie dal carcere
Il giorno della lavanda dei piedi e i viaggi apostolici, infatti, sono stati spesso segnati da una scena: quella di Papa Francesco che entra in un carcere per incontrare i detenuti. âPerché voi e non ioâ, si è chiesto Francesco ogni volta che ha varcato il portone di un penitenziario. Questa domanda nella Pasqua del 2020, segnata dalla pandemia, si è saldata con le scritte anche dai detenuti della casa di Reclusione âDue Palazziâ di Padova. Il testo della persona che commenta la prima stazione, quella in cui "Gesù è condannato a morte", è stato scritto da un ergastolano.
Quando, rinchiuso in cella, rileggo le pagine della Passione di Cristo, scoppio nel pianto: dopo ventinove anni di galera non ho ancora perduto la capacità di piangere, di vergognarmi della mia storia passata, del male compiuto. Mi sento Barabba, Pietro e Giuda in unâunica persona. Il passato è qualcosa di cui provo ribrezzo, pur sapendo che è la mia storia. Ho vissuto anni sottoposto al regime restrittivo del 41-bis e mio padre è morto ristretto nella stessa condizione. Tante volte, di notte, lâho sentito piangere in cella. Lo faceva di nascosto ma io me ne accorgevo. Eravamo entrambi nel buio profondo. In quella non-vita, però, ho sempre cercato un qualcosa che fosse vita: è strano a dirsi, ma il carcere è stato la mia salvezza. Se per qualcuno sono ancora Barabba, non mi arrabbio: avverto, nel cuore, che quellâUomo innocente, condannato come me, è venuto a cercarmi in carcere per educarmi alla vita.
Nella via Crucis del 2020 la voce dei detenuti si intreccia con quella della coscienza. Nella III stazione, quella in cui âGesù cade per la prima voltaâ, una persona in carcere racconta la sua caduta. Le sue parole, lette in quella sera, sono un monito: non si era accorto che il male gli stava crescendo dentro.
È stata la prima volta che sono caduto, ma quella caduta è stata per me la morte: ho tolto la vita ad una persona. È bastato un giorno per passare da una vita irreprensibile a compiere un gesto nel quale è racchiusa la violazione di tutti i comandamenti. Mi sento la versione moderna del ladrone che a Cristo implora: «Ricordati di me!». Più che pentito, lo immagino come uno che è consapevole di essere sulla 10/4/2020 5/13 strada errata. Della mia infanzia ricordo lâambiente freddo e ostile nel quale sono cresciuto: bastava scovare una fragilità nellâaltro per tradurla in una forma di divertimento. Cercavo amici sinceri, volevo essere accettato per comâero, senza riuscirci. Soffrivo per la felicità degli altri, sentivo i bastoni tra le ruote, mi chiedevano solo sacrifici e regole da rispettare: mi sono sentito un estraneo per tutti e ho cercato, ad ogni costo, una mia rivalsa. Non mi ero accorto che il male, lentamente, cresceva dentro me. Finché, una sera, è scoccata la mia ora delle tenebre: in un attimo, come una valanga, mi si sono scatenate contro le memorie di tutte le ingiustizie subite in vita. La rabbia ha assassinato la gentilezza, ho commesso un male immensamente più grande di tutti quelli che avevo ricevuto. In carcere, poi, lâingiuria degli altri è diventata disprezzo verso me stesso: bastava poco per farla finita, ero al limite. Avevo condotto anche la mia famiglia nel burrone: per causa mia, hanno perso il loro cognome, lâonorabilità, sono divenuti soltanto la famiglia dellâassassino. Non cerco scusanti né sconti, espierò la mia pena fino allâultimo giorno perché in carcere ho trovato gente che mi ha ridato la fiducia perduta. Non pensare che al mondo esistesse la bontà è stata la mia prima caduta. La seconda, lâomicidio, è stata quasi una conseguenza: ero già morto dentro.
Unâaltra testimonianza custodita tra le meditazioni per la Via Crucis del 2020 è quella di una madre di un detenuto. Parlando di Maria, dice che âin cuor suo sapeva che il Figlio non avrebbe avuto scampo al male dellâuomo, ma non lâha abbandonatoâ. Anche questa madre non abbandona suo figlio.
Nemmeno per un istante ho provato la tentazione di abbandonare mio figlio di fronte alla sua condanna. Il giorno dellâarresto tutta la nostra vita è cambiata: lâintera famiglia è entrata in prigione con lui. Ancora oggi il giudizio della gente non si placa, è una lama affilata: le dita puntate contro tutti noi appesantiscono la sofferenza che già portiamo nel cuore. Le ferite crescono con il passare dei giorni, togliendoci persino il respiro. Avverto la vicinanza della Madonna: mi aiuta a non farmi schiacciare dalla disperazione, a sopportare le cattiverie. Ho affidato a lei mio figlio: solamente a Maria posso confidare le mie paure, visto che lei stessa le ha provate mentre saliva il Calvario.
Dio non abbandona mai i suoi figli
Papa Francesco ha dato voce a chi non ha voce, anche a chi è privato della libertà. Incontrando il 18 maggio del 2024 i detenuti della , ha sottolineato che Dio non abbandona mai i suoi figli, nessuno dei suoi figli.
La vita è sempre degna di essere vissuta, sempre!, e câè sempre speranza per il futuro, anche quando tutto sembra spegnersi. La nostra esistenza, quella di ciascuno di noi, è importante â noi non siamo materiale di scarto, lâesistenza è importante â, è un dono unico per noi e per gli altri, per tutti, e soprattutto per Dio, che mai ci abbandona, e che anzi sa ascoltare, gioire e piangere con noi e perdonare sempre.
Quelle dei poveri, dei lavoratori, dei migranti, dei bambini, dei giovani dei detenuti sono solo alcune delle voci del popolo di Dio ascoltate da Papa Bergoglio. Voci, âa tu per tuâ con il Pontefice, che oggi sono quasi un coro solo, una preghiera struggente da elevare al Cielo, ricordando Francesco.
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