Ucraina, il ritorno a scuola. Se la campanella è un allarme antiaereo
Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano
Il primo settembre in Ucraina è stato il primo giorno di scuola. Di solito per gli alunni, i genitori e gli insegnanti è un giorno di festa: i bambini vanno a scuola con abiti festivi, regalano fiori ai maestri e si tiene una cerimonia solenne. Quest’anno, purtroppo, come anche nei tre anni precedenti, in molte scuole del Paese questi eventi si sono svolti con il sottofondo del suono degli allarmi antiaerei e, spesso, gli studenti sono stati costretti a scendere nei rifugi. Per i ragazzi ucraini la possibilità di frequentare la scuola in presenza adesso è un privilegio. Dall’inizio dell’invasione russa, oltre 3800 istituti scolastici sono stati danneggiati, quasi 400 dei quali sono stati completamente distrutti. Per molti bambini “tornare a scuola” ora significa solo collegarsi alle lezioni online da casa, dai rifugi o dall’estero, dove le famiglie si sono trasferite in cerca di sicurezza.
Le scuole sotterranee
In Ucraina il ministero dell’Istruzione fornisce delle raccomandazioni generali, mentre le scuole scelgono autonomamente le modalità di insegnamento (in presenza, a distanza o misto) a seconda della situazione di sicurezza e della disponibilità di rifugi. Le scuole sotterranee, già operative in diverse grandi città vicine al fronte come Kharkiv, Zaporizhzhia e Mykolaiv, offrono a un numero sempre maggiore di ragazzi la possibilità di frequentare le lezioni in presenza. Entro la fine del 2025 in Ucraina si prevede di aprire centocinquanta strutture di questo tipo. «La maggioranza dei nostri alunni vengono a scuola e seguono le lezioni in presenza», racconta ai media vaticani don Oleh Ladnyuk, salesiano, che oltre a svolgere il servizio come cappellano militare fa l’insegnante di storia in un liceo a Dnipro, nell’est del Paese. In alcune scuole, continua, «le lezioni si svolgono online perché i genitori sono preoccupati per la sicurezza dei loro figli: i missili e i droni attaccano non solo durante la notte ma anche di giorno. Però in questi ultimi anni di insegnamento online, prima a causa della pandemia e poi della guerra, il livello di conoscenze dei ragazzi si è abbassato molto. Per fortuna adesso la maggioranza dei genitori fa venire i figli a scuola. Ciò fa bene non solo per l’apprendimento ma anche per la loro socializzazione e il loro sviluppo in generale». Don Oleh sottolinea che insegnare a scuola è per lui, da un lato, un’opportunità per mettere in pratica il carisma salesiano e, dall’altro, un’occasione per distrarsi dalla guerra: «È stato bello rivedere i miei alunni nel primo giorno di scuola, ho visto la gioia anche nei loro occhi. Questa è una cosa bella dell’essere insegnante: avere la possibilità di incontrare i ragazzi che ti vogliono bene e ai quali anche tu vuoi bene». Il sacerdote aggiunge con amarezza che alcuni studenti, soprattutto delle superiori, non sono più tornati a scuola perché si sono trasferiti. «Tanti genitori — spiega — cercano di trasferirsi con tutta la famiglia o di mandare i ragazzi più grandi in Europa occidentale o nelle regioni a ovest dell’Ucraina. È una tendenza triste, però comprendo i genitori che vogliono il meglio per propri figli».
L’impegno dei professori
Con l’inizio della guerra i docenti ucraini hanno smesso di essere solo dei mentori. Cercano di essere per i ragazzi un esempio di comportamento e di stabilità, inventano di tutto per motivarli, li accompagnano nei rifugi e li tranquillizzano durante gli allarmi. «Una parte degli insegnanti è andata all’estero ma quelli rimasti si sacrificano per i ragazzi e sono molto bravi», dice Ladnyuk: «In Ucraina i professori non guadagnano molto. Riuscire a insegnare agli studenti il programma previsto in queste condizioni è una cosa veramente difficile. Tuttavia si cerca di fare il meglio».
Adattarsi alla guerra
Don Oleh ha un buon rapporto con i suoi studenti. Quando racconta loro fatti storici, cerca di collegarli agli eventi attuali. I ragazzi spesso gli chiedono della sua attività di cappellano e di come aiuta le persone nei villaggi vicini. Ogni tanto lui è preoccupato quando li vede stanchi perché non hanno dormito per tutta la notte a causa dei bombardamenti russi. «In questa situazione sarebbe logico manifestare aggressività, ma io non la vedo. Non so come sia nelle altre scuole, però da noi non c’è, grazie a Dio. Forse si sono semplicemente abituati a questa situazione. Però alcune ragazze di 14-17 anni mi hanno riferito che quando sono andate dal parrucchiere lui ha detto loro che hanno qualche capello bianco. Ciò vuol dire che c’è preoccupazione, anche se non la manifestano. Quando durante una lezione scatta l’allarme aereo, tutti gli alunni sanno già cosa fare: scendono nel rifugio senza caos o panico. Da una parte è positivo che i bambini e i ragazzi si siano adattati a queste circostanze. Ma dall’altra — conclude il sacerdote salesiano — è triste che abbiano dovuto adattarsi alla guerra».
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