Niger, i gruppi islamisti intensificano gli attacchi contro i civili
Pietro Piga – Città del Vaticano
Il sedicente Stato islamico della provincia del Sahel (Is Sahel) ha compiuto cinque massacri in Niger, dallo scorso marzo, uccidendo 127 civili. Lo documenta, raccogliendo le testimonianze di residenti, attivi locali, giornalisti e medici, Human Rights Watch. Le atrocità sono state perpetrate da questa diramazione dello Stato Islamico, principalmente, nella regione di Tillabéri, al confine tra Niger, Mali e Burkina Faso. Non solo giustiziando gli abitanti, ma anche saccheggiando e incendiando le abitazioni e le scuole, come rappresaglia alla loro presunta collaborazione con l’esercito. Gli attacchi, afferma Ilaria Allegrozzi, ricercatrice senior per il Sahel dell’organizzazione non governativa internazionale, “hanno violato il diritto internazionale umanitario e costituiscono apparenti crimini di guerra”.
Le stragi
L’Is Sahel ha colpito nel villaggio di Manda, uccidendo 70 persone – inclusi cinque bambini e due donne – e ferendone almeno 20, nelle frazioni di Ezzak (6 morti) e Abarkaize (5), nell’insediamento di Dani Fari (7) e nel villaggio di Fambita (46, tra i quali tre minori). Tra i racconti pubblicati da Human Rights Watch c’è quello di uomo sopravvissuto al massacro nella moschea del villaggio di Manda il 21 giugno. Mentre ascoltava la preghiera del mattino, ha sentito gli spari di fucili d’assalto e visto i fedeli che “si sono precipitati verso la porta, e lì c’erano gli assalitori. La gente ha cominciato a cadere a terra. Sono riuscito a scappare, non so nemmeno come. Gli assalitori hanno crivellato di proiettili tutti quelli che erano dentro la moschea, e anche quelli che cercavano di fuggire”.
L’assenza di aiuto
In Niger - dove dal luglio 2023 governa il Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria dopo aver destituito e imprigionato il presidente della Repubblica, Mohamed Bazoum - l’Is Sahel ha ucciso 1600 civili negli ultimi due anni, secondo i calcoli di Armed Conflict Location and Event Data. La giunta militare al potere tenta di arginarne i crimini attraverso “operazione di contro-insurrezione”. Ma gli abitanti della regione di Tillabéri – oltre a piangere e seppellire i propri familiari, cercare l’ospedale più vicino e un riparo anche al confine col Mali – le incolpano di un “silenzio inspiegabile”. A Human Rights Watch, un sopravvissuto all’attacco a Ezzak in cui ha perso il fratello, ha denunciato l’assenza di aiuto: “I soldati ci hanno fermati a un posto di blocco e ci hanno chiesto dove stavamo andando. Ma i militari mi hanno accusato di mentire, dicendo che collaboriamo con i terroristi e che, quando le cose vanno male con loro, ce ne andiamo solo per fare le spie e segnalare le loro posizioni all’esercito. Quando mi hanno detto queste cose, ho perso ogni speranza”. La diffidenza dell’esercito è stata confermata da un altro residente della zona: “Nessun soldato è venuto in nostro aiuto. E, cosa ancora peggiore, i militari non si fidano di noi. Ci considerano collaboratori dei jihadisti, solo perché viviamo in una zona sotto il loro controllo”.
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