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Dalla terra nera, le radici del mondo secondo Wangechi Mutu

Fino al 14 settembre, la Galleria Borghese ospita la mostra dell'artista kenyota-statunitense Wangechi Mutu "Poemi della terra nera", un'opportunità per scoprire le radici comuni dell'umanità attraverso l'arte contemporanea. La mostra si inscrive in una linea curatoriale che utilizza il linguaggio visivo per esplorare le connessioni tra passato e presente, offrendo una riflessione profonda sulla nostra comune umanità

Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano

Dal 10 giugno scorso, la Galleria Borghese ha aperto le sue sale cariche di marmi e capolavori immortali, alla ricerca visiva di Wangechi Mutu. La mostra, intitolata Poemi della terra nera, è un invito a confrontarsi con le radici comuni dell’umanità, affidandosi alla forza immaginativa dell’arte contemporanea. Una presenza in dialogo serrato con lo spazio, che rivela nuove possibilità di lettura della storia.

Wangechi Mutu, Foto di Khadija Farah
Wangechi Mutu, Foto di Khadija Farah

Un’artista multiforme

Nata a Nairobi e formatasi tra il Kenya e gli Stati Uniti, Mutu è un’artista multidisciplinare che lavora con pittura, scultura, collage, installazioni e video. La sua ricerca si concentra su messaggi universali capaci di superare le barriere culturali e contestuali. Come osserva la curatrice Cloé Perrone, “Mutu non divide ma riunifica”, indicando così la direzione profonda della sua pratica: cercare nell’arte ciò che unisce piuttosto che ciò che separa.  "La mostra è un atto di ricongiungimento, non un archivio di differenze. È una ricerca che mira ad ancorare le varie culture, i vari momenti storici, a una stessa terra da cui proveniamo tutti", sottolinea Perrone.

Ascolta l'intervista a Cloé Perrone, curatrice della mostra "Poemi della terra nera" alla Galleria Borghese

Il significato del titolo e del progetto

La metafora della “terra nera” evoca fertilità, memoria, radice: è il terreno comune da cui germogliano culture e miti. La terra,  bruna, argillosa, è molto presente nelle opere e assume la stessa dignità del bronzo, dei materiali più preziosi. In questo senso, l’opera di Mutu rimanda a un tempo originario. L’arte non è decorazione o semplice rappresentazione, ma il primo linguaggio dell’uomo, antecedente alla scrittura: un sistema di segni e simboli che ha unito le comunità molto prima delle parole, e che ancora oggi permette di riconoscere radici comuni oltre le barriere culturali.

 "The Seated I" © Galleria Borghese, foto Agostino Osio
"The Seated I" © Galleria Borghese, foto Agostino Osio

Le opere all’interno del museo: sospensione e vuoto

Alla Borghese, Mutu sceglie soprattutto la scultura, ma sottraendola al piedistallo e alla monumentalità. Le sue opere si sospendono dai soffitti o si adagiano su bassi piani orizzontali o a terra, come presenze sottili che abitano le “fessure” dello spazio. Sembrano spiriti o memorie in transito, che convivono con il peso della storia e aleggiano intorno a noi.

First Weeping Head and Second Weeping Head© Galleria Borghese, foto Agostino Osio
First Weeping Head and Second Weeping Head© Galleria Borghese, foto Agostino Osio

Il linguaggio dei materiali e delle forme

Bronzo, piume, legno, pigmenti: ogni materiale reca con sé un tempo e una memoria. L’opera di Mutu si muove tra arcaico e futuribile, tra gesto rituale e immaginazione visionaria. È un linguaggio che trova nella metamorfosi - tema che sarà centrale nella programmazione del museo nel 2026 - la sua cifra più autentica. Il bronzo, in particolare, rimanda a un’eredità ancestrale che Mutu rinnova con forza contemporanea.

Underground Hornship © Galleria Borghese, foto Agostino Osio
Underground Hornship © Galleria Borghese, foto Agostino Osio

Arte come poesia concreta

Sulla facciata di Villa Borghese The Seated I e The Seated IV, si presentano come cariatidi solenni, eredi tanto della statuaria classica o egizia quanto di tradizioni africane. Lungo il percorso all’interno delle sale, ogni opera si disvela con un racconto nuovo. L’installazione realizzata appositamente per questa mostra, The Grains of Words è una grande distesa di carta velina, su cui le parole di War – la celebre canzone di Bob Marley, tratta da un discorso di Hailé Selassiè alle Nazioni Unite nel 1963, per rivendicare la parità e chiedere la fine delle ingiustizie razziali – sono tracciate con tè e caffè. Un messaggio potente, perché proprio queste bevande quotidiane che associamo al piacere sono state causa del colonialismo e di sopraffazione. "L'opera - osserva Perrone - si rifà anche alla poesia concreta ed è anche l'idea che le parole si piantano e piantandole in questa terra germoglieranno come qualcosa di più grande".

Galleria Borghese. Wangechi Mutu. Poemi della terra nera - Installazione "The Grains of Words" © Galleria Borghese, foto Agostino Osio
Galleria Borghese. Wangechi Mutu. Poemi della terra nera - Installazione "The Grains of Words" © Galleria Borghese, foto Agostino Osio

Esterni e Giardini Segreti: custodi e creature ibride

La mostra si espande oltre le sale, con opere che trasformano anche gli esterni della villa. Nei Giardini segreti, creature ibride - grandi ceste, figure femminili acquatiche, serpenti addormentati - ampliano la costellazione simbolica di Mutu. E il video The End of Eating Everything, proiettato sulla terrazza, offre una riflessione sull’ecologia e sull’ossessione contemporanea per il consumo.

Installazione con Nyoka © Galleria Borghese, foto Agostino Osio
Installazione con Nyoka © Galleria Borghese, foto Agostino Osio

Un‘opera sul Gianicolo

La mostra continua anche presso l'American Academy in Rome, sul Gianicolo, dove è esposta Shavasana I, un'opera che rappresenta una figura femminile distesa, avvolta in una stuoia di paglia intrecciata. La posa yoga "shavasana", nota come "posa del cadavere", diventa qui un simbolo di vulnerabilità e di silenzio. La collocazione dell'opera nell'atrio dell'Accademia, tra iscrizioni funerarie romane, crea un potente dialogo tra passato e presente, invitando a riflettere sulla fragilità e sulla dignità della vita umana.

Musa © Galleria Borghese, foto Agostino Osio
Musa © Galleria Borghese, foto Agostino Osio

Un processo curatoriale condiviso

Esporre alla Galleria Borghese non è semplice: le opere contemporanee devono misurarsi con la delicatezza richiesta dalla conservazione e con la forza accentratrice della collezione storica. L’allestimento, come racconta Cloé Perrone, è stato frutto di un lavoro condiviso e di continue riformulazioni. “Mutu analizza i miti, li rilegge e li riscrive da una prospettiva diversa da quella europea, ricercando origini comuni”. Il risultato è un dialogo che non oppone antico a contemporaneo, ma li lascia risuonare insieme e formando nuove relazioni inaspettate.

Bloody Rug © Galleria Borghese, foto Agostino Osio
Bloody Rug © Galleria Borghese, foto Agostino Osio

Il museo come organismo vivo

La Galleria Borghese si conferma non solo custode del passato, ma spazio vitale in cui il presente si misura con la storia. Dopo le mostre Gesti Universali di Giuseppe Penone, del 2023, e L’inconscio della memoria di Louise Bourgeois, del 2024, continua a proporre un nuovo modo di vedere lo spazio, rinnovato di connessioni e prospettive. “Guardare più intensamente”, ha osservato la direttrice Francesca Cappelletti, significa accogliere la sfida di interpretare ciò che cambia e si trasforma. Ad esempio, continua, “alzando o abbassando lo sguardo si incontrano le sculture e le istallazioni di Mutu, che non interrompono la visuale sulla collezione permanente, ma arricchiscono l’esperienza del visitatore rimandando al tentativo di un rapporto con la storia del luogo”. Fino al 14 settembre, Mutu invita a percorrere questi spazi da un punto di vista nuovo: riconoscendo nell’Africa la radice di tutte le culture e nell’arte il linguaggio originario che, ancora prima della scrittura, ha dato forma all’esperienza comune dell’umanità.

Prayers and Older sisters © Galleria Borghese, foto Agostino Osio
Prayers and Older sisters © Galleria Borghese, foto Agostino Osio

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05 settembre 2025, 09:24