Zuppi: la lingua latina, ricchezza e bene comune
Matteo Maria Zuppi
Mai come nel 2025 il latino è tornato al centro del dibattito pubblico dopo la annunciata reintroduzione di una tale materia nelle scuole secondarie di primo grado. Faccio parte della generazione che l’ha iniziato a studiare già alle medie, prima, dunque, che vi fosse abolito nel 1977, allenato peraltro da una mamma professoressa di latino che aveva lasciato la cattedra per dedicarsi all’aula dei figli! Ha messo in guardia l’ex rettore dell’Università di Bologna Ivano Dionigi a farne «una bandierina identitaria» o «una questione ideologica». Ed è quanto spiega Francesco Lepore in questo libro sul latino nel mondo di oggi. Nella prima parte dell’opera l’autore, che deve al papà, allievo di Francesco Arnaldi, l’amore per la lingua di Roma antica, sgombra infatti il campo da ogni equivoco. Nella temibile, a volte comica, certamente ignorante polarizzazione generalizzata, il latino non è appannaggio di nessuno. È ricchezza e bene comune, il mezzo per conoscere meglio l’italiano e le altre lingue europee, lingua di duemila anni della civiltà europea. Nel suo insieme, e per ciò stesso non solo quello classico, il latino ha infatti avuto un ruolo fondante nella costruzione dell’identità dell’Europa.
Identità, che, come scrive Lepore, «null’altro è se non la consapevolezza di ciò che siamo e, conseguentemente, il presupposto necessario per l’apertura alle altre culture e il dialogo con le stesse. [...] In quest’ottica il riconoscimento del latino come lingua della civiltà europea per antonomasia sarà sempre estraneo a qualsivoglia forma di esclusivismo e amnesia culturale. Al contrario, porterà a non dimenticare e, perciò, a rettamente valorizzare i restanti apporti, a partire da quelli del greco, dell’ebraico biblico, dell’arabo».
Ma il latino è e resta anche la lingua ufficiale della Chiesa, come hanno ribadito esplicitamente e a più riprese i Papi dopo il Concilio Vaticano II. Francesco Lepore affronta l’argomento in uno specifico paragrafo dal titolo provocatorio Chiesa e latino: una storia d’amore finita?, osservando anche come le cicliche affermazioni dei media sulla presunta abolizione dell’uso del latino nella liturgia siano alimentate «dall’erronea e grossolana identificazione tra lingua e antica forma del rito romano». Né manca di sottolineare l’importante contributo degli scriptores della Sezione Latina della Segreteria di Stato all’attualizzazione del latino attraverso neologismi o ulteriori accezioni di termini antichi per esprimere concetti e realtà contemporanee.
Si può perciò dire che il latino è più vivo che mai: lo dimostrano, d’altra parte, i vari notiziari radiofonici, riviste e siti online in tale lingua. Lo dimostra lo stesso Lepore, che dal 2020 cura su «Linkiesta» la rubrica quotidiana O tempora, o mores, commentando un fatto del giorno in latino. Da essa sono tratti i cinquanta articoli brevi o commentatiunculae, che, suddivisi per anni e pubblicati con testo italiano a fronte, costituiscono la seconda parte di questo libro.
Immergendosi nelle quasi duecento pagine del volume, si potrà fare esperienza della forza seducente del latino, lingua – come suggerisce il titolo ispirato e adattato a uno dei più celebri passi delle Confessioni di Agostino – dalla «bellezza antica e sempre nuova». Il motto dell’Unione non a caso è proprio latino e ne adombra l’utilità: In varietate concordia.
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