Tra Armenia e Italia, legami di pietra e memoria
Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano
Nelle sculture di Mikayel Ohanjanyan la materia sembra custodire tensioni invisibili, come se fosse attraversata da forze che trattengono e al tempo stesso spingono verso l’inconoscibile. Pietra, piombo e acciaio diventano strumenti per interrogare i legami che uniscono l’essere umano a sé stesso, agli altri, alla natura e all’universo. Una ricerca che nasce dal dialogo fra due culture, quella armena e quella italiana, e che trova espressione in un percorso artistico riconosciuto a livello internazionale.
Radici e appartenenza
Nato nella capitale armena Yerevan, Ohanjanyan ha compiuto i primi studi nella sua città per poi trasferirsi in Italia nel 2000, dove si è formato all’Accademia di belle arti di Firenze. Questo passaggio è stato decisivo: l’incontro con la tradizione rinascimentale e con l’arte contemporanea gli ha permesso di ripensare le proprie origini in una dimensione di costante riflessione. “È come un rispecchiamento continuo tra la cultura da cui provengo e il mondo nuovo in cui vivo”, racconta.
Legami
Il nucleo della sua ricerca si concentra sull’essere umano e sulle sue relazioni, un interesse coltivato fin dall’infanzia. Da questa attenzione nasce il tema dei Legami, che oggi connota molte delle sue opere. Legami interiori, sociali, spirituali: un intreccio che si traduce formalmente in blocchi di pietra serrati da cavi d’acciaio, superfici attraversate da scritture, tensioni che diventano segni concreti nello spazio.
La soglia
’iԲٲDzԱ E se non ci fosse la scrittura?, presentata a Milano, affronta ad esempio il valore e i limiti della scrittura come soglia da superare. Blocchi di basalto informi, stretti da funi metalliche che li afferrano al suolo, sono metafora dell’essere umano trattenuto, incapace di “volare”. Le schegge fuse in piombo recano incisa la domanda che dà il titolo all’opera: una provocazione che interroga la memoria e la capacità di vivere il presente.
La scultura come filosofia
La scultura, osserva Ohanjanyan, è “una filosofia tridimensionale”, capace di catalizzare la vibrazione del tempo. Non un gesto isolato, ma un processo che assorbe la dimensione sociale, politica e culturale in cui viviamo. “Credo che la scultura sia un tentativo di catalizzare la vibrazione da cui si genera ogni cosa”, afferma, sottolineando come le sue opere siano al tempo stesso memoria delle origini e riflessione sul presente.
Percorsi per andare lontano
Questa visione ha trovato spazio in contesti internazionali: dalla Biennale di Venezia, dove nel 2015 ha partecipato al Padiglione dell’Armenia premiato con il Leone d’Oro, al Frieze Sculpture Park di Londra, che nel 2016 ha presentato Diario, oggi parte della collezione permanente dello Yorkshire Sculpture Park. Nel 2018 l’opera La soglia è la sorgente è entrata nel Museo dell’opera del duomo di Firenze, vincendo il Premio Internazionale Marinelli. E ancora Parigi, con il progetto Fiac-on Site, o Carrara, dove la città lo ha invitato a dialogare con gli spazi pubblici. Accanto a questi riconoscimenti, resta centrale la riflessione personale: le sue opere si offrono come strumenti per rivelare tanto la presenza quanto la mancanza di legami. “È una denuncia della scarsa consapevolezza dei rapporti che viviamo, ma anche un modo per segnare l’importanza dell’unità, anche se frantumata, anche se in attrito”, spiega l’artista.
Incontro e memoria
Nel 2024 Ohanjanyan è stato invitato dal Dicastero per la cultura e l’educazione alla Biennale di Venezia, ospitata nella casa di reclusione femminile della Giudecca, dove ha incontrato Papa Francesco. Un ricordo che definisce “molto emozionante, molto simbolico… un ricordo empatico, profondo”, a conferma di quanto lo sguardo dell'artista sia guidato dal cuore, dalle esperienze umane e spirituali oltre che artistiche.
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