La faglia di fuoco, perchè ci saranno altri terremoti nel Pacifico
Sara Costantini - Città del Vaticano
“Un terremoto di magnitudo 8.8 è un evento indubbiamente eccezionale.†- chiarisce subito Luigi Cavaleri, membro dell’Istituto di scienze marine del Cnr, intervistato dai media vaticani sull’evento sismico che si è verificato in Kamchatka, aggiungendo che in ogni caso “si tratta di un evento perfettamente coerente con la dinamica geologica della cosiddetta “cintura di fuoco del Pacificoâ€. “Parliamo di una zona che va dal Giappone alla Kamchatka, prosegue lungo le isole Aleutine, l’Alaska e tutta la costa americana fino al Perù e al Cile." - spiega Cavaleri - "Qui la placca oceanica del Pacifico si infila sotto quella continentale e, periodicamente, la pressione accumulata si scarica producendo terremoti devastantiâ€.
La dinamica geologica: la cintura di fuoco del Pacifico
Luigi Cavaleri spiega che fenomeni come questo non sono rari in quella regione: “Sono eventi statisticamente prevedibili: sappiamo che ogni 20-30 anni nella cintura di fuoco si verificano grandi terremoti. È la natura stessa della tettonica a placcheâ€. Un po’ quello che accade per la faglia di Sant’Andrea, in California, dove dopo il forte terremoto di inizio ‘900 tutti continuano ad aspettare il cosiddetto Big One. “Lì i grandi terremoti avvengono in media ogni 75 anni e più energia si accumula senza scaricarsi, più violento sarà il terremoto. Paradossalmente, - conclude lo scienziato del Car - sarebbe meglio se si verificassero con maggiore frequenza scosse di minore entitàâ€.
La propagazione delle onde sismiche
Per quanto riguarda l’evento che si è verificato in Kamchatka bisogna ricordare che la faglia coinvolta è lunga circa 700 km e larga 300: “Quando un terremoto interessa un’area così vasta, -spiega Cavaleri - la propagazione delle onde sismiche è impressionante, ma allo stesso tempo si attenua rapidamente con la distanza: a mille o duemila chilometri la percezione è minimaâ€. Lo stesso vale per il rischio tsunami.
Il rischio tsunami e la velocità delle onde
Subito dopo il sisma, il Pacific tsunami warning center delle Hawaii ha diffuso un’allerta per Giappone, Alaska, Oregon, California e le isole del Pacifico. “Uno tsunami – spiega Cavaleri – viaggia a circa 700 km/h, pari a 200 metri al secondo, in un oceano profondo 4 km. In mare aperto è quasi impercettibile. Diventa pericolosa quando si avvicina alla costa: il fondale poco profondo rallenta la velocità dell’acqua, che si accumula e si innalza, trasformandosi nella grande onda che tutti temonoâ€. Non a caso Cavaleri, che è specializzato in eventi oceanografici, ricorda il caso di Sumatra nel 2004: “Una volta generato il maremoto, tutto diventa una questione cronometrica: oggi sappiamo con precisione quando e dove arriverà l’onda e con quale altezza. Ma il vero problema è prevedere il terremoto che lo scatenerà: quello resta ancora impossibileâ€.
Un evento che non si vedeva da diversi anni
“Eventi così rari – conclude Cavaleri – ci ricordano che viviamo su un pianeta geologicamente attivo. Non possiamo fermare le placche tettoniche, ma possiamo studiare, monitorare e prepararci. La tecnologia di allerta tsunami che oggi protegge le coste del Pacifico è il risultato di decenni di ricerca e cooperazione internazionale. Prevedere il 'quando' resta impossibile – ribadisce – ma sapere il 'dove' ci permette di salvare viteâ€.
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