“Fotogrammi dell’invisibile”, Max Mandel in mostra a Milano
Maria Milvia Morciano - Città del Vaticano
Fotogrammi che sgranano la trama del reale e la restituiscono come fossero trasfigurazione dell’infinito. Una realtà traslucida che l’occhio guarda come attraverso un vetro di luce. Colori mai violenti e geometrie che non feriscono. È da qui che si apre la mostra "Sguardi di luce. Fotografie 1985–2025", un viaggio visivo nel lavoro di Max Mandel, in programma dal 2 al 21 luglio 2025 presso lo spazio IsolaSET di Palazzo Lombardia a Milano. L’esposizione, a cura di Giovanni Gazzaneo, direttore di “Luoghi dell’Infinito”- supplemento di Avvenire - è promossa da Fondazione Crocevia e Fondazione La Rocca, con il sostegno della Regione Lombardia.
Un atlante della visione
La mostra si articola in sei sezioni – Sguardi di luce, Istanti, Incontri, Lo spazio dentro, Forme senza tempo, L’altra metà del lavoro – e propone centoventi fotografie che coprono un arco di quarant’anni. È una mappa affettiva e percettiva che attraversa città, corpi, architetture, oggetti e silenzi, rivelando una realtà mai definitiva, sempre attraversata dalla possibilità di uno stupore.
Ad accompagnare l’esposizione, un catalogo - edito da Crocevia e Corsiero - intenso e corale, che raccoglie riflessioni di protagonisti del mondo della cultura, dell’impresa, della spiritualità, del pensiero poetico e visivo. Un tessuto di voci che si intrecciano, offrendo chiavi di lettura diverse ma convergenti: perché l’opera di Mandel non chiede definizioni, ma ascolto.
Un fotografo che attraversa i confini
Nato a Milano nel 1959, Max Mandel è fotografo e ricercatore iconografico. La sua attività si è sviluppata lungo molteplici direttrici: dalla documentazione di opere d’arte, paesaggi e architetture, alla fotografia d’autore. Ha viaggiato ampiamente in Europa, Asia e nelle Americhe, collaborando per oltre quindici anni con lo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, documentando le campagne archeologiche in Giordania. Dal 1989 collabora con il mensile Luoghi dell’Infinito. A fianco dell’attività professionale, porta avanti una ricerca personale che si è concretizzata in raccolte come Appunti di viaggio, Sguardi di luce, Il Tigri e l’Eufrate, Incontri e Cartoline da Street View. Le sue opere sono state esposte in Italia e all’estero, e pubblicate da importanti case editrici.
L’essenza oltre la superficie
“Lo sguardo di Max Mandel – scrive Giovanni Gazzaneo – è mosso dalla passione della bellezza del quotidiano”. Non si accontenta della superficie, per quanto luminosa: cerca l’essenza, la vibrazione interna, la poesia che spesso resta celata agli occhi distratti. Così ogni immagine diventa un luogo in cui accadere, non da attraversare in fretta, ma da abitare".
Una fotografia che non pretende
Henri Cartier-Bresson, che nel 1990 riconobbe in Mandel “un occhio che sa vedere”, sottolineava la sua capacità di cogliere la realtà nella sua autenticità, restituendola come opera d’arte e insieme come frammento vero della nostra vita. Anche Laura Leonelli lo conferma: “le sue fotografie non pretendono, non alzano la voce”, ma ci parlano con il garbo di chi accompagna, non di chi impone.
L’umanità nei volti, il lavoro nelle mani
Particolarmente toccante la sezione L’altra metà del lavoro, dedicata al lavoro femminile. Le donne ritratte da Mandel non sono muse né icone, ma presenze reali, vive, capaci di raccontarsi attraverso gesti, strumenti, oggetti. “La bellezza che Mandel persegue – osserva Santo Versace – è quella della verità”. Una verità che non è mai statica ma si rivela nel momento stesso in cui la si incontra.
Arte come ascolto
C’è in Mandel una poetica dell’essere presenti senza imporsi, dell’attendere senza forzare. Arnoldo Mosca Mondadori scrive che la sua arte “nasce dal mistero (…) perché Mandel non trattiene nulla. Le cose appaiono, ma lui sparisce un istante prima di scattare”. È un gesto di discrezione che restituisce alle cose la loro dignità: la fotografia come ascolto, non come conquista.
Viaggio, attenzione, gratitudine
Fotografo attento, viaggiatore sensibile, Mandel ha attraversato il mondo raccogliendo frammenti di bellezza senza tempo. Ma ciò che cerca non è l’esotico o l’eccezionale: è la verità minuta delle cose, ciò che resta nel tempo e nella memoria. “L’occhio di Max – scrive Marco Roncalli – accompagna a scoprire ciò che è o potrebbe essere altro da ciò che appare, rivelando, tramutando, trasfigurando con un click che è solo l’ultimo istante di una riflessione”.
Il microscopio del cuore
Le sue immagini, osserva Stefano Zuffi, “usano il microscopio del cuore”. Una luce discreta, mai gridata, attraversa i suoi scatti e li tiene insieme: che si tratti di ombre, linee architettoniche, frammenti naturali o volti umani, ogni fotografia è un gesto di gratitudine verso il mondo. Non per possederlo, ma per restituirlo.
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