Il cambiamento climatico minaccia i diritti umani
Francesco Citterich - Città del Vaticano
Le conseguenze devastanti del cambiamento climatico globale minacciano i diritti umani e gli Stati hanno il dovere di fermare il riscaldamento globale e devono essere ritenuti legalmente responsabili delle loro emissioni di gas serra. È il parere — di portata storica sul clima — emesso dai Quindici giudici della Corte internazionale di giustizia dell’Aja, il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite.
Il cambiamento climatico minaccia i diritti umani
"Gli effetti negativi del cambiamento climatico potrebbero compromettere significativamente il godimento di alcuni diritti umani, incluso quello alla vita", ha affermato il presidente della Corte internazionale, Yuji Iwasawa. "Le emissioni di gas serra sono inequivocabilmente causate da attività umane che non hanno limiti territoriali", ha precisato Iwasawa, parlando anche di "minaccia urgente ed esistenziale" del riscaldamento globale.
Il parare della Corte internazionale di giustizia
Richiesto nel marzo del 2023 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il parere dei giudici dell’Aja, pur non essendo vincolante, avrà un grande peso giuridico nel determinare il corso delle cause climatiche in tutto il mondo. I Quindici hanno quindi stabilito che uno Stato che vìola gli obblighi climatici a cui è tenuto — come la produzione e il consumo di combustibili fossili, la concessione di licenze di esplorazione, o l’erogazione di sussidi — compie un atto illecito internazionale. E in tal caso deve assumersene la piena responsabilità, risarcendo, a causa di condotte dannose, gli Stati danneggiati.
Il dovere degli Stati di favorire un'economia a zero emissioni
Questa responsabilità, in particolare, si applica al consumo e all’estrazione di combustibili fossili e alla mancanza di una regolamentazione adeguata per favorire la transizione verso un’economia a zero emissioni. Il punto di riferimento giuridico per determinare un’ambizione sufficiente è il limite di temperatura di 1,5°C previsto dall’Accordo di Parigi (2015). Il verdetto della Corte internazionale di giustizia — destinato, quindi, a fare giurisprudenza — spiana, di fatto, la strada alle cosiddette climate litigations, ossia le cause portate avanti da associazioni per il clima o gruppi di cittadini contro aziende e governi accusati di non fare abbastanza per affrontare la minaccia dei cambiamenti climatici.
Il ricorso presentato all'Onu dall'arcipelago di Vanuatu
La decisione della Corte è stata accolta con favore da Vanuatu. Un ricorso all’Onu era stato infatti presentato nel 2019 proprio da alcuni studenti dell’arcipelago nell’oceano Pacifico, poi sostenuto da altri 85 Paesi. Vanuatu è noto per essere al primo posto mondiale nella classifica dei rischi climatici World risk index 2021 delle Nazioni Unite.
Situazione difficile anche a Tuvalu nel Pacifico
Situazione particolarmente difficile anche a Tuvalu, arcipelago del Pacifico minacciato dall’innalzamento del livello del mare, dove oltre l’80% degli abitanti sta richiedendo visti per l’Australia in base a un trattato firmato nel 2024. Un totale di 8.750 tuvaluani si sono registrati per il primo lotto di visti, ha dichiarato l’Alto commissariato australiano, un numero che rappresenta l’82% dei 10.643 abitanti registrati nell’arcipelago. Situato tra l’Australia e le Hawaii, l’arcipelago di Tuvalu, composto da nove isole coralline con un’altitudine media inferiore a un metro sul livello del mare, è considerato uno dei Paesi più vulnerabili al cambiamento climatico. Negli ultimi trent’anni, il livello del mare nell’area è salito di circa 15 centimetri, una crescita superiore alla media globale. Le proiezioni della Nasa indicano che, entro qualche decennio, l’aumento potrebbe superare i 20 centimetri, rendendo il 90% della capitale, Funafuti, inabitabile durante le alte maree.
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