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Il regno Unito ha approvato una legge sul fine vita Il regno Unito ha approvato una legge sul fine vita 

Gran Bretagna, sì alla legge fine vita: "Vera compassione non è porre fine all’esistenza"

Cattolici e anglicani esprimono la propria contrarietà sull'approvazione della Camera dei Comuni britannica alla normativa riguardante i malati terminali

Giovanni Zavatta - Città del Vaticano

«Un momento spartiacque nella storia del nostro paese» perché «cambia radicalmente i valori e i rapporti consolidati della società sulle questioni della vita e della morte»: il cardinale arcivescovo di Westminster, Vincent Gerard Nichols, presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, commenta così  l’approvazione in terza lettura, ieri 20 giugno a Londra, da parte della Camera dei Comuni, del disegno di legge che consente agli adulti malati terminali, soggetti a tutele e protezioni, di richiedere e ottenere assistenza per porre fine alla propria vita. Il provvedimento, passato per soli ventitré voti (314 sì contro 291 no), verrà esaminato ora dalla Camera dei Lord dove comunque si profila una larga maggioranza favorevole. «Il compito è ormai chiaro», ha detto Nichols: «Bisogna fare tutto il possibile per limitare i danni che questa decisione causerà» e, in ogni caso, «offrire la possibilità di scegliere di morire non può escludere la possibilità di fornire cure adeguate a coloro che scelgono di vivere fino alla morte naturale».

Le reazioni dell'episcopato

Sulla stessa lunghezza d’onda il vescovo di Liverpool, John Francis Sherrington, responsabile dell’episcopato per le questioni relative alla vita: «Durante questo dibattito abbiamo espresso l’opinione che la vera compassione implichi l’accompagnamento di coloro che necessitano di cure, soprattutto durante la malattia, la disabilità e la vecchiaia. La vocazione all’assistenza è al centro della vita di tante persone che si prendono cura dei propri cari ed è il segno di una società veramente compassionevole. Permettere alla professione medica di aiutare i pazienti a porre fine alla propria vita cambierà la cultura dell’assistenza sanitaria e susciterà legittimi timori tra le persone con disabilità o che sono particolarmente vulnerabili per altri motivi». Secondo i vescovi di Inghilterra e Galles, «è essenziale coltivare e rinnovare la chiamata innata di molte persone a prendersi cura degli altri con compassione» e «migliorare la qualità e la disponibilità delle cure palliative è la strada giusta per ridurre la sofferenza alla fine della vita. Continueremo a impegnarci in tal senso e chiediamo alla comunità cattolica di sostenere coloro che lavorano instancabilmente per assistere i morenti nei nostri hospice, ospedali e case di cura».

Critiche anche dal mondo anglicano

Da parte anglicana a esprimersi è stato il vescovo di Londra, Sarah Elizabeth Mullally, incaricata per la Church of England della salute e dell’assistenza sociale: «Questo disegno di legge di iniziativa parlamentare ha ricevuto una terza lettura nonostante le crescenti prove che lo rendono inattuabile, pericoloso e un rischio per le persone più vulnerabili della nostra società. Tali preoccupazioni irrisolte sono state sollevate in molti interventi dei parlamentari e dimostrate dalla ridotta maggioranza favorevole della Camera dei Comuni. Se promulgata — ha sottolineato — questa legge entrerebbe in vigore in un contesto di gravi carenze nell’assistenza sociale agli adulti, della “lotteria dei codici postali” per le cure palliative e di pressioni ben documentate sul Servizio sanitario nazionale, moltiplicando i potenziali rischi per i più vulnerabili». Per Mullally il provvedimento spinge i malati terminali, «che si percepiscono come un peso per familiari e amici», a scegliere la “morte assistita” in una società dove «lo Stato finanzia completamente un servizio per i malati terminali che desiderano porre fine alla propria vita ma, sorprendentemente, finanzia solo circa un terzo delle cure palliative». Ogni persona «ha un valore incommensurabile e irriducibile e dovrebbe poter accedere alle cure e al supporto di cui ha bisogno: un principio che so essere condiviso da tutte le fedi». Il vescovo di Londra esorta a continuare a opporsi a una legge che «mette a rischio le persone vulnerabili, invece di impegnarsi a incrementare i finanziamenti e l’accesso ai servizi di cure palliative di cui c’è bisogno».

Cosa prevede la nuova legge

Il testo approvato dalla Camera dei Lord, il Terminally Ill Adults (End of Life) Bill, prevede il diritto, per gli adulti malati terminali, di ricevere assistenza legale per porre fine volontariamente alla propria vita. Il soggetto deve risiedere ed essere assistito in un ospedale o studio medico in Inghilterra o in Galles, deve avere la capacità di decidere e aver compiuto 18 anni. Alcuni articoli stabiliscono che la persona deve avere «un desiderio chiaro, deciso e informato di porre fine alla propria vita»; una scelta che deve essere fatta «volontariamente» (il soggetto non può essere «costretto o sottoposto a pressioni da parte di altre persone»). Un individuo è considerato malato terminale se «è affetto da una malattia o patologia inevitabilmente progressiva che non può essere curata con un trattamento» e se «il decesso conseguente può essere ragionevolmente previsto entro sei mesi». Molto lungo e accurato (decine gli articoli al riguardo) l’esame — da parte di almeno due medici — di tutta la documentazione, mentre viene garantito il diritto all’obiezione di coscienza per i sanitari.

Emendata anche la legge sull'aborto

Il 17 giugno la Camera dei Comuni britannica, nell’ambito di un ampio provvedimento, aveva approvato (379 sì contro 137 no) un emendamento alla legge che regola l’aborto in base al quale verrà depenalizzata anche l’interruzione volontaria di gravidanza eseguita oltre il termine massimo delle 24 settimane finora consentito. L’obiettivo è far sì che le donne che abortiscono oltre i termini (e non solo in caso di pericolo per la vita della madre) non possano essere indagate e condannate. «Donne disperate che necessitano compassione, non di essere criminalizzate», hanno dichiarato i promotori dell’emendamento. Opposta l’opinione di alcuni gruppi pro-life per i quali la misura finirà per facilitare ulteriormente il ricorso all’aborto in un paese che nel 2022 (ultimo anno con dati certificati disponibili) ha battuto il nuovo record assoluto di interruzioni volontarie di gravidanza, salite a quota 252.122. Preoccupazione anche in questo caso è stata espressa sia dai cattolici sia dagli anglicani. Monsignor Sherrington ha spiegato che «la nuova clausola elimina ogni responsabilità penale per le donne che praticano l’aborto per qualsiasi motivo e in qualsiasi momento durante la gravidanza. Questa decisione riduce significativamente la protezione della vita dei nascituri» e «lascia le donne ancora più sole e vulnerabili alla manipolazione e agli aborti forzati, tardivi e pericolosi praticati a domicilio». Dal canto suo il vescovo Sarah Mullally, pur contraria a perseguire penalmente le donne che abortiscono, ha affermato che depenalizzare l’interruzione volontaria di gravidanza «può minare il valore della vita del nascituro». 

 

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21 giugno 2025, 12:20