Giubileo dello Sport, il sorriso di un atleta più forte del dolore
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Più che la sedia a rotelle, di lui colpisce subito il grande, autentico e contagioso sorriso. È quello dello schermitore Amelio Castro Grueso arrivato nella sede di Radio Vaticana - Vatican News per condividere il suo denso bagaglio di dolori, ricordi, emozioni e sogni. Giunto in anticipo rispetto all’ora prefissata spiega subito, con perspicace ironia, che avrebbe aspettato tutto il tempo necessario perché, "dovendo stare seduto", non si sarebbe stancato.
L’uccisione della mamma
Nell’intervista realizzata in vista del Giubileo dello Sport per “Specchi”, il podcast che racconta la speranza dell'Anno Santo a partire dalle storie personali, le prime parole di questo giovane atleta si legano innanzitutto al suo amato Paese, la Colombia. “I miei primi anni di vita - spiega lo schermitore - sono stati stupendi anche perché ho avuto una mamma eccezionale. C’era anche la realtà del mio Paese, bellissimo ma segnato dalla violenza. Poi hanno ucciso la mia mamma quando avevo 16 anni”.
Accettare la vita in carrozzina
Dopo quel drammatico omicidio, avvenuto davanti ai suoi occhi, si apre un'altra pagina tragica nella vita di Amelio: un incidente stradale gli fa perdere l’uso delle gambe. Trascorre interminabili giorni, diventati mesi, in ospedale. Si sente solo, scoraggiato. “Sono stato quattro mesi senza muovermi. Volevo donare gli organi. I medici - racconta l'atleta paralimpico - mi dicevano che avrei usato la sedia a rotelle, che sarei riuscito ad andare avanti. Ma non immaginavo una vita sulla carrozzina... Dopo ho cercato di togliermi la vita, ma alla fine si va avanti anche senza le gambe; credo che se ce l'ho fatta io anche altre persone, nel momento della prova, debbano avere tantissima forza e speranza”.
Nella solitudine la scoperta dell’amore di Dio
Uno dei dolori più grandi per Amelio è stato quello di sentirsi abbandonato: “La mi famiglia - afferma l'atleta colombiano - mi ha lasciato solo in ospedale e non riuscivo a capirne il motivo”. In quella solitudine sperimenta però una grazia: “Ho visto che, nonostante la mia famiglia fosse distante, c'era sempre qualcuno che mi aiutava a risolvere le cose di cui avevo bisogno. Ed è lì che ho capito che la grazia di Dio comunque mi è stata sempre accanto”. Il senso solitudine e il malessere interiore si dissolvono, piano piano, anche grazie al discernimento e alla preghiera.
Progetti incompiuti ma motori di speranza
Amelio racconta anche che dopo l’incidente stradale, in ospedale, sfogliava libri di filosofia, tra cui quelli di Friedrich Nietzsche. Leggeva che “la speranza è il peggior dei mali perché allunga la sofferenza dell'uomo”. “Portavo avanti quelle parole - sottolinea lo schermitore paralimpico - perché per me era vero: ero in ospedale e stavo soffrendo. Avevo la speranza di migliorare però, alla fine, non accadeva ed io ero solo”. A volte anche i progetti che non si realizzano possono essere decisivi. “Un mio cugino mi ha detto che mi avrebbe dato la possibilità di lavorare in un piccolo negozio come parrucchiere; quello mi ha dato speranza anche se lui alla fine non l'ha fatto. Con la speranza che lui mi aiutasse, ho lottato; forse anche quella speranza mi ha aiutato ad arrivare fino a qua”.
La via del riscatto: lo sport
Dopo tanta sofferenza Amelio si è sentito e si sente amato dal Signore. E percorre, attraverso lo sport, la strada del riscatto. La passione per la scherma, in particolare, lo porta a partecipare nel 2024, con il Team paralimpico dei rifugiati, ai Giochi Olimpici di Parigi. “A volte - spiega lo sportivo paralimpico - le persone credono che debba fare lo sport solo chi ha l'intenzione di vincere un'Olimpiade o di primeggiare in una gara nazionale; credo, però, che lo sport sia per tutti. Lo sport è una scuola di vita e dà dei valori che rimangono per sempre. Dallo sport imparo tantissimo. Lo sport dà anche la capacità di perseverare”. Ed è proprio questa perseveranza che consente di non staccarsi mai dai propri sogni, anche nei momenti più difficili.
Non ambizioni ma sogni
Quello di Amelio è un cammino costellato da grandi sogni: scrivere un libro per raccontare la propria storia e vincere una medaglia d’oro alle paralimpiadi. Sono sogni diversi ma hanno lo stesso obiettivo: testimoniare, consolare, dare forza a chi, colpito da prove e sofferenze, pensa di mollare, di aver consumato ogni speranza. “Io, in realtà, la medaglia non la voglio per me. La voglio per gli altri: so che se mi presento come un campione paralimpico posso essere più credibile”. Amelio delinea poi la netta distinzione tra sogno e ambizione: “Non ho l’ambizione della medaglia; io sogno la medaglia. Ambirla - aggiunge lo schermitore - sarebbe diventare matto per quello. Voglio vivere quel bel processo che, forse, mi porterà alla medaglia. A volte, abbiamo anche dimenticato che il vero percorso è la vita. Cerchiamo tanto il finale però non ricordiamo che tra l'inizio e il finale c'è una lunga strada: la nostra vita. Io voglio godermi tutte le persone che incontro, tutte le cose che vedo; non ho ambizioni ma sogni”.
Esteriorità ed essenza
Amelio è un uomo innamorato di Dio e questo amore non lo nasconde, non lo limita. Non se ne vergogna, anzi ha un grande bisogno di condividere la sua gioia. Ringrazia il Signore per non averlo lasciato solo ed è proprio questo amore che gli dà la forza di “camminare” nella vita anche restando seduto su una sedia a rotelle. Dalle sue parole emerge la profonda differenza che ci può essere tra l’esteriorità, apparentemente perfetta di molti corpi, e l’essenza di una persona, quello che realmente ha dentro. Ed è quello, afferma, che più conta. “Credo che noi esseri umani, a volte, pensiamo troppo fuori e poco dentro. Il corpo - spiega l'atleta colombiano - è solo un mezzo di trasporto e per me la cosa più importante è come ci si sente dentro. Io sono distrutto fuori però mi sento molto costruito dentro”.
Abbattere le barriere per gli altri
Il percorso di vita di Amelio, tra sofferenze e barriere che spesso una carrozzina fatica a superare nei tessuti urbani di grandi città come Roma, è anche quello di un apripista, di un pioniere che dischiude cammini di speranza. “Per arrivare a Tor Di Quinto e per fare gli allenamenti - ricorda lo schermitore - impiegavo due ore e mezzo; tutto dipendeva da quando arrivavano gli autobus. Alla fermata metro di San Giovanni, poi, non c'erano gli ascensori e quindi dovevo sempre usare la scala mobile. Quando ci siamo qualificati alle paralimpiadi tutti si chiedevano: ma come è possibile che non ci sia l'ascensore? Adesso sono molto felice che sia stato montato. Chi ne avrà bisogno, potrà usare l’ascensore”. Ciò che rende davvero felici, sottolinea l’atleta colombiano, è “poter migliorare la vita degli altri”.
La forza dell’amore che trasforma
Le parole di Amelio sono anche un monito: ricordano che, spesso, “in corpi costruiti bene e che funzionano apparentemente benissimo: nella profondità dell'anima ci possono essere delle disabilità che portano le persone a non vedere ciò che è veramente essenziale". L’invito, allora, è quello di guardare a quest'Anno Santo illuminando sempre i propri passi con la speranza e con i sogni. E, soprattutto ad andare avanti con l’amore del Signore. “L'amore è l'unica forza capace di trasformare una persona; senza amore non si fa nulla; credo che bisogna amare prima se stessi e, dopo, iniziare ad amare l'altro”. Testimoniare l’amore è il più potente motore di un processo che può aiutare a realizzare i sogni, anche quelli più grandi: “Chi ama - conclude Amelio - non fa male e costruisce un mondo di pace”.
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