Corridoi umanitari, un’azione di comunità
Stefano Leszczynski – Città del Vaticano
Come rispondere alle “crisi migratorie” e alla mancanza di vie legali per mettere in sicurezza i rifugiati? I corridoi umanitari, lavorativi e universitari sono oggi una delle poche risposte che la società civile, insieme ad alcuni governi, stanno implementando in varie parti del mondo. Un tema che è stato al centro dell’evento Migramed, promosso dalla Caritas italiana e appena conclusosi a Salerno. “L’advocacy – ha detto don Pagniello aprendo i lavori - non è una rivendicazione astratta, bensì una «promozione integrale della persona» che spesso comporta lavorare insieme ai servizi pubblici, tessere collaborazioni sul territorio e sostenere decisioni che tutelino i più deboli”.
L’accordo tra la Cei e il governo italiano
Il Protocollo quadro siglato tra la Conferenza episcopale italiana e il Ministero dell’Interno lo scorso 11 giugno per “promuovere l’accoglienza e l’inclusione di richiedenti asilo, rifugiati e migranti vulnerabili”, mira a valorizzare le migrazioni legali e a rendere il sistema di accoglienza più efficace e coordinato. “Questo accordo”, ha detto il direttore di Caritas italiana, “riconosce il ruolo fondamentale che la Chiesa, attraverso Caritas e altre realtà ecclesiali, già svolge sui territori nell’accogliere e integrare i migranti”.
L’altra strada
La Chiesa italiana continua ad essere protagonista di queste attività, alle quali è stata dedicata un’intera giornata di dibattito a Salerno con contributi da parte delle Chiese evangeliche, di UNHCR, di Pathways International, di alcune Caritas diocesane impegnate nell’accoglienza e di aziende che hanno deciso di mettersi in gioco assumendo rifugiati giunti in Italia attraverso i corridoi lavorativi di Caritas Italiana, arricchendo in questo modo l’ambiente lavorativo e il benessere dei lavoratori. “Noi le definiamo ‘opere parlanti’ – dice Paolo Valente, vicedirettore di Caritas italiana -, azioni che sono portatrici di un messaggio e i corridoi nelle loro varie forme ne fanno parte”.
Raccontare il bene
Per diffondere il valore di questo impegno, nel corso dell’evento salernitano è stato presentato il volume “L’altra strada”, che racconta il modo in cui le comunità hanno accolto le persone giunte in Italia attraverso i Corridoi. “Nel mondo ci sono oltre 120milioni di milioni di persone che sono state costrette ad abbandonare i propri paesi, ma con i corridoi umanitari, al momento le uniche vie legali e sicure di ingresso in Italia e in Europa, - spiega Valente - noi siamo riusciti ad accogliere circa 8000 persone negli ultimi dieci anni. In termini numerici non è una risposta enorme, ma è un modo di far vedere che è possibile una soluzione alternativa a quella delle traversate del Mediterraneo e soprattutto delle morti in mare”. “L'accoglienza vera e propria delle persone – prosegue Valente - funziona se ci si rende conto che queste persone in qualche modo ci interrogano e ci portano qualcosa. Non ci portano via nulla, come la narrazione di un certo tipo vorrebbe far credere, ma ci integrano con la loro presenza e quindi danno anche nuovo slancio in molte realtà. Ciò premesso l'accoglienza dei profughi è compito essenzialmente delle pubbliche istituzioni, questo dobbiamo sempre ricordarcelo”.
Serve un cambiamento culturale
Le sfide poste dai fenomeni migratori ci obbligano a fare i conti con la complessità del nostro mondo. “Io credo che esistano comunque anche a livello italiano delle esperienze positive di accoglienza ed integrazione – afferma Paolo Valente - dove anche le pubbliche istituzioni sono una parte importante e molto spesso, direi quasi sempre, questo avviene quando il settore pubblico si incontra in maniera positiva con il cosiddetto terzo settore e, se vogliamo, anche con il mondo dell'economia. Quando questi tre settori si riconoscono agenti complementari a livello sociale le cose funzionano anche molto bene”. Conoscere le esperienze raccontate nel volume edito dalla Caritas italiana può essere considerato anche uno strumento per creare una diversa cultura nel Paese che permetta una lettura diversa del fenomeno dell'incontro con l'altro o della comprensione di quelli che sono i motivi che stanno alla base delle migrazioni sempre più drammatiche.
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