RD Congo, perché le grandi potenze puntano su Goma
Guglielmo Gallone - Città del Vaticano
Un giovane congolese di fede cattolica ucciso a Goma nel 2007 per essersi schierato contro la corruzione: bastano questi tre elementi tratti dalla storia di Floribert Bwana Chui bin Kositi, che il 15 giugno prossimo sarà proclamato beato, per calarsi nella situazione geopolitica della Repubblica Democratica del Congo.
Non è un Paese per giovani
Anzitutto, c’è la questione demografica: nel secondo Paese più grande dell’Africa l’età media è di circa 17 anni e oltre il 60 per cento della popolazione ha meno di 25 anni, rendendola così una delle popolazioni più giovani al mondo nonché, con un tasso di crescita demografica superiore al 3 per cento all’anno, il Paese francofono più popoloso al mondo e il quarto nel continente africano. Essere giovani in questo Paese, però, è tutt’altro che facile. Qui bisogna fare i conti con un passato che non passa, caratterizzato dalle fratture sociali alimentate dalla brutale colonizzazione belga, e con un presente incapace di dare alcuna forma di certezza. Dopo la caduta della dittatura instaurata dal generale Mobutu, tra il 1996 e il 2003 la Repubblica Democratica del Congo è stata teatro della grande guerra africana che coinvolse Paesi vicini e gruppi armati in quello che è spesso definito «il conflitto più sanguinoso dalla Seconda guerra mondiale».
Quanto conta Goma
Se negli anni Novanta i contrasti furono alimentati soprattutto dalla necessità del Rwanda di regolare i conti con l’etnia Hutu, che dopo aver compiuto il genocidio del 1994 trovò rifugio proprio nella regione orientale della vicina Repubblica Democratica del Congo, negli ultimi anni la ripresa degli attacchi ad opera principalmente del gruppo ribelle M23, sostenuto dal Rwanda, sembra invece avere un solo obiettivo: sottrarre alle autorità governative congolesi il controllo della regione del Kivu e in particolare di Goma, capoluogo del Nord Kivu. In effetti, controllare questa regione significa sorvegliare il confine tra Repubblica Democratica del Congo e Rwanda e, ancor più, controllare le materie prime da vendere alle grandi potenze. Si stima che nel sottosuolo congolese vi sia oltre il 70 per cento delle riserve mondiali di cobalto, circa il 30 per cento delle riserve africane di rame e oltre 24 tipi di minerali strategici presenti, molti dei quali indispensabili per la transizione digitale ed energetica globale. Di riflesso, anche il conflitto interno al Paese si sta concentrando in quest’area. Lo scorso 30 maggio l’ex presidente Joseph Kabila ha scelto di presentarsi proprio a Goma dopo che il senato di Kinshasa aveva messo fuorilegge il suo partito.
Stati Uniti contro Cina
In attesa di capire come evolverà il rapporto con l’attuale presidente, Félix Tshisekedi, al potere dal 2019, occorre ricordare che i due sono espressione di modi diversi di intendere la proiezione geopolitica del Paese: nel 2008 l’allora presidente Kabila ha concesso alla Cina ampio accesso alle miniere congolesi in cambio di strade, ospedali e altri lavori pubblici, mentre Tshisekedi ha cercato di riavvicinarsi agli Stati Uniti accettando di costruire infrastrutture volte a collegare il cuore minerario di Zambia e Repubblica Democratica del Congo col porto angolano di Lobito, affacciato sull’oceano Atlantico. Tshisekedi sembra aver rinnovato la sua fedeltà al progetto americano quando, lo scorso 19 marzo, ha inviato una lettera al nuovo presidente Usa Donald Trump in cui avrebbe promesso «una partnership» che offre «agli Stati Uniti un vantaggio strategico, assicurandosi minerali» in cambio di «un patto di sicurezza formale», come riferito dal quotidiano “The Wall Street Journal”. In effetti, un mese dopo “Reuters” ha riferito che Erik Prince, un magnate vicino a Trump, ha concluso un accordo per proteggere il settore minerario del Paese e, lo scorso 21 maggio, il presidente Usa ha detto di essere vicino a un accordo tra Repubblica Democratica del Congo e Rwanda.
La sfida della corruzione
La posta in gioco dell’attuale conflitto sta tutta in questo incrocio di interessi antitetici tra grandi potenze. E, come al solito, a pagarne le conseguenze sono i più deboli. In Repubblica Democratica del Congo gli sfollati interni sono almeno 7 milioni e un altro milione di persone cerca rifugio nei Paesi confinanti – rendendo questa la più grande crisi di sfollamento in Africa dopo il Sudan –, più del 60 per cento della popolazione vive con meno di due dollari al giorno e la speranza di vita è di soli 60 anni circa. Floribert era lì per loro. Ed è stato torturato e ucciso, tra il 7 e il 9 luglio 2007, per loro, quando, in qualità di commissario alle avarie presso la città di Goma, impedì che il cibo marcio potesse arrivare nelle case dei suoi concittadini. I tentativi di corruzione di Floribert erano stati molteplici. D’altronde, questo è un altro tratto tipico della Repubblica Democratica del Congo. Nel 2019 il Paese è stato classificato al 168esimo posto su 180 nell'indice di percezione della corruzione (CPI) di Transparency International, con picchi riguardanti tanto il settore minerario quanto il sistema elettorale, come peraltro sottolineato da un recente rapporto dell’istituto di ricerca Ebuteli. Sono queste le conseguenze quotidiane dell’intricato puzzle geopolitico, capaci di coprire e quindi di alimentare la «terza guerra mondiale a pezzi», un concetto descritto da Papa Francesco e oggi ripreso da Papa Leone XIV, e che Floribert ha cercato di combattere, divenendo così protagonista di un martirio “in odio alla fede” nel Paese africano con più cattolici al mondo. La sua storia, diceva Papa Francesco nel suo viaggio in Repubblica Democratica del Congo, serve a ricordare a tutti e specie ai giovani congolesi cosa significa «mantenere le mani pulite. Se qualcuno ti allungherà una busta, ti prometterà favori e ricchezze, non cadere nella trappola, non farti ingannare, non lasciarti inghiottire dalla palude del male».
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