Vedere passare il mondo: a Roma, la mostra “Barocco globale”
Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano
Entrando nella prima sala della mostra, “Barocco globale. Il mondo a Roma nel secolo di Bernini”, visitabile fino al 13 luglio alle Scuderie del Quirinale, stupisce d’impatto il busto in marmi policromi, ritratto dell’ambasciatore del regno del Congo, Antonio Manuel Ne Vunda, opera di Francesco Caporale. Sulla pelle scura spiccano bianchissimi gli occhi e i denti. I capelli e la barba trattati in modo finissimo, gli abiti e la faretra con le frecce a tracolla di un caldo color ocra. È la fisionomia esatta - il volto fu ricavato da un calco di cera - del giovane primo diplomatico africano a raggiungere la Santa Sede, al quale furono tributati i più alti onori con un monumento funebre di rango nella basilica di Santa Maria Maggiore.
La storia di “Negrita”, come veniva chiamato affettuosamente, e le circostanze avventurose del suo arrivo a Roma, della sua morte prematura avvenuta il 3 gennaio 1608, assistito sul suo letto di morte dallo stesso papa Paolo V, lo calano in un’atmosfera immaginifica e favolosa, tanto che fu simbolicamente assimilato al Re magio di pelle scura, Balthazar, rievocandone il viaggio dall’Oriente.
Confronto e accoglienza
Dopo gli interventi di restauro, la scultura è stata concessa dalla basilica papale per espressa volontà di papa Francesco in occasione del Giubileo. Ricordando questa circostanza, l’arciprete coadiutore di Santa Maria Maggiore, il cardinale Rolandas Makrickas, sottolinea che “Il pellegrinaggio del congolese verso la Città dei Papi ha dato vita a una memoria durevole, che sfida il passare del tempo e continua a offrire un segno profetico di quanto sia sempre indispensabile costruire ponti tra i continenti e i popoli, in spirito di autentico confronto e instancabile accoglienza dell’altro da sé”.
Roma al centro
La scultura dell’ambasciatore Ne Vunda è il punto simbolico di partenza, ma al centro dell’esposizione trionfa Roma e la sua vocazione cosmopolita, accogliente, “l’unico luogo dove qualunque forestiero si sente a casa”, scrisse nel 1581 Michel de Montaigne nel suo Viaggio in Italia. Se questo aspetto è presente fin dalle epoche più antiche, basti pensare alla presenza delle comunità straniere che si stabilirono a Roma fin dal basso medioevo, nella mostra - curata da Francesca Cappelletti, direttrice generale della Galleria Borghese e professore ordinario di Storia dell’Arte all’Università di Ferrara, e da Francesco Freddolini, professore associato di Storia dell’arte presso ‘Sapienza’ Università di Roma - l’attenzione si è focalizzata nel secolo del barocco, all’epoca del Bernini, sotto il pontificato di Paolo V Borghese, tra il 1605 e il 1621. Il Pontefice, infatti, volse uno sguardo verso i luoghi più lontani, alla scoperta dei continenti sconosciuti, sia attraverso l’azione diplomatica che quella missionaria.
L’arte registra e restituisce questo mutuo scambio tra Paesi, suggerisce ispirazione a forme nuove. Gli artisti, sottolinea Francesca Cappelletti, in questa epoca vedevano passare il mondo a Roma e lo conoscevano pur non viaggiando, pur non potendo raggiungere mete così lontane. L’Urbe diventò centro di irradiazione della cultura europea e a sua volta di assorbimento di stili, suggestioni, conoscenze provenienti fin dall’altro capo del mondo, estranei al canone artistico occidentale.
Ambasciatori dal mondo
La mostra al Quirinale, ancorché ricca di opere rarissime e capolavori prestati per la prima volta all’Italia, ha il grande pregio di far capire come è nato il Barocco, di cosa si è nutrito, qual è stato il suo substrato culturale che è stato anche sintesi ed elaborazione di conoscenze inedite. Le diverse sezioni della mostra evidenziano gli aspetti di questo processo, alcuni dei quali sorprendenti, e li esemplificano attraverso opere d’arte e manufatti raffinati. Quale esemplificazione della diplomazia pontificia, transculturale e interreligiosa, appaiono i ritratti dipinti ad affresco di quegli ambasciatori dalla fisionomia esotica che si ripetono nel Salone dei corazzieri del Palazzo del Quirinale. Oltre al busto marmoreo dell’ambasciatore congolese, in mostra vediamo il grande ritratto del missionario gesuita e letterato belga Nicolas Trigault, opera di Peter Paul Rubens, risalente al 1617 circa, o quello dell’ambasciatore persiano ‘Ali-qoli Beg, opera di Lavinia Fontana del 1609 e ancora dell’ambasciatore Robert Shirley e della sua moglie circassa Teresia, dipinti nel 1622 da Anton van Dyck che in quel periodo si trovava a Roma.
Missioni in cammino
Capitoli importanti della mostra sono dedicati all’attività missionaria dei diversi ordini religiosi che contribuirono in gran parte a tessere rapporti transculturali con Roma. Rapporti che si rinsaldarono anche attraverso la circolazione di immagini sacre. Tra tutte, quella della Salus Populi Romani, che viene copiata e tradotta in forme esotiche con caratteristiche stilistiche e i tratti somatici cinesi, o di santa Cecilia, dipinta da un’artista alla corte Mughal in India.
Dipinti, modelli architettonici in scala, sculture, manoscritti, suppellettili, oggetti di importanti collezioni sono esposti accanto alle prove di crescenti interessi scientifici, promossi dall’Accademia dei Lincei, impressi su arazzi, dipinti e libri illustrati con specie botaniche o zoologiche.
A proposito del collezionismo, fenomeno iniziato già nel XVI secolo e al quale la mostra dà ampio e accurato spazio, ci sono testimonianze di quanto la curia papale ne fosse interessata. Sono esposti eccezionalmente oggetti anche unici e preziosissimi, come i paramenti sacri di manifattura centro-americana interamente intessuti e ricamati di piume, come la mitra appartenuta a san Carlo Borromeo che gli era stata donata da papa Pio IV.
Ispirazioni e traduzioni
Di grande interesse è anche il modo in cui veniva percepito il lontano e tradotto dall’arte, per cui, nel caso di raffigurazioni di eroine o donne della storia e della mitologia, vi era una reinterpretazione arbitraria ma più rispondente a familiari canoni di bellezza. È il caso dell’olio su tela di Pietro da Cortona datato al 1637, dove Cleopatra appare bionda e dalla carnagione diafana.
Alcuni Paesi, come l’Egitto, ebbero nella storia contatti di lungo corso con l'Urbe, fin dall’epoca di Roma antica. Gli obelischi ne sono un emblema, con la loro capacità di incidere profondamente nel tessuto urbanistico e di alimentare quel senso di fascino per l’esotico, fino a realizzarne delle copie in scala, come il caso dell’obelisco in legno di pioppo appartenuto al grande gesuita tedesco Athanasius Kircher, realizzato sul modello dell'Obelisco Flaminio.
A Gian Lorenzo Bernini viene dedicata una sezione nella quale si possono ammirare i modelli preparatori per la celeberrima Fontana dei quattro fiumi di piazza Navona. Per il volto del personaggio rappresentante il Rio della Plata, quindi delle Americhe, l’artista raffigurò un uomo dai tratti dell’Africa subsahariana, dimostrando di essere a conoscenza della deportazione di schiavitù africana nel Nuovo Mondo.
Il ritratto di Don Diego
Chiude la mostra un’opera curiosa: “Annibale che attraversa le Alpi a cavallo di un elefante”, realizzata nel 1630 del pittore francese Nicolas Poussin su committenza di Cassiano dal Pozzo. Protagonista è l’animale, che riempie con la sua mole grigia quasi tutto lo spazio disponibile del dipinto. Si tratta di Don Diego, un esemplare di pachiderma proveniente dall’India e tenuto a Palazzo Venezia. Un animale mai visto che richiamava folle di curiosi e alimentava fantasie di favolose terre lontane. Così, mascherato da dipinto a tema storico, in realtà l’artista realizzò un ritratto dell’elefante, riallacciandosi alle tante illustrazioni di animali esotici diffuse nella letteratura scientifica.
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