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Tigray, un reportage per dare voce al dolore delle donne

In mostra a Palazzo Esposizioni di Roma fino all’8 giugno il progetto della fotoreporter Cinzia Canneri dal titolo “Women’s bodies as battlefields”: il racconto della vita delle donne eritree e tigrine, delle violenze subite e del loro cammino di cura e resistenza

Greta Giglio - Città del Vaticano

Una madre protesa a nutrire il suo bambino, una brocca tenuta dal braccio mutilato, una croce al collo e uno sguardo di dolcezza e cura. È questa una delle fotografie del reportage “Women’s bodies as battlefields” di Cinzia Canneri, vincitrice del premio internazionale di fotogiornalismo World Press Photo nella sezione Africa, Long-Term Projects. “Sono tornata in quella casa due volte per fare questa fotografia - ci racconta Canneri - dentro c’è tutto l’amore verso un figlio e la forza che dà per sopravvivere”.

Una donna dà da bere a suo figlio, Tigray aprile 2024
Una donna dà da bere a suo figlio, Tigray aprile 2024   (Cinzia Canneri)

Corpi come campi di battaglia

Il lavoro di Cinzia Canneri ricorda al mondo le drammatiche conseguenze del conflitto nel Tigray (regione tra l’Etiopia e l’Eritrea) sulla vita delle donne. Ognuna di loro porta sulla propria pelle i segni delle violenze che hanno reso i propri corpi campi di battaglia. “La violenza sessuale è usta come arma di guerra - specifica la fotoreporter - in modo sistematico e con scopo politico”. Violazioni dei diritti umani che rischiano di passare sotto silenzio perché non vengono indagate né denunciate.

Donne mostrano i dati sulle violenze sessuali, Tigray dicembre 2023
Donne mostrano i dati sulle violenze sessuali, Tigray dicembre 2023   (Cinzia Canneri)

Per Canneri però questo progetto è più di una testimonianza: “l’Italia ha un debito storico con queste terre. Molte donne che ho conosciuto hanno nomi italiani ma non i congnomi, perché non sono mai state riconosciute. In queste terre abbiamo relazioni internazionali, beneficiamo di risorse e vantaggi, ma dobbiamo anche pretendere il rispetto dei diritti umani". Il suo interesse per quello che accade nella regione inizia nel 2015, quando in Italia arrivavano grandi flussi di migranti eritrei. “Però non arrivavano le donne ed io mi sono chiesta il perché. Qual era la loro storia?”. Inizia così il viaggio di Cinzia Canneri in queste terre, a stretto contatto con le comunità eritree e tigrine: “Quando ti trovi lì, nasce una fiducia basata sull’essere donne che supera le barriere culturali. I problemi di violenza di genere riguardano tutte noi. Si tratta di riconoscersi in una reciprocità umana”.

Una madre e sua figlia

Attraverso le sue fotografie in bianco e nero, Canneri entra nell’intimità di queste donne e ci restituisce le loro storie. Come quella di Zara (nome fittizio) e di sua figlia, fotografate in un campo profughi nel Tigray. “L'incontro con loro è stato molto bello - racconta la fotografa - perché dove c'è sofferenza spesso c'è anche una capacità profonda di entrare in contatto con l'altro”. La loro è una storia di intenso dolore: Zara ha subito violenza da tre soldati dentro la sua casa. Quando sono entrati, una pentola bolliva sul fuoco; la bambina ha iniziato a piangere e per interrompere le sue grida un soldato gliel'ha tirata addosso, deturpandole l’addome. “Il volto di entrambe è coperto perché le donne subiscono anche uno stigma dopo le violenze. Con la madre ho discusso molto se fare questa foto perché c'era la paura di esporre la bambina, ma alla fine abbiamo deciso questa posa”. Oggi la bambina frequenta una scuola italiana di Don Bosco presso l’associazione Amici di Adwa. Come dice Canneri, la fotografia certe volte è occasione di cambiamento e una storia di sofferenze non sempre si esaurisce in uno scatto, ma può evolversi e diventare un altro racconto.

Zara e sua figlia, Tigray dicembre 2023
Zara e sua figlia, Tigray dicembre 2023   (Cinzia Canneri)

La salvezza nelle comunità

Le comunità sono spazi fondamentali nella vita delle donne eritree e tigrine. Abbandonate dai genitori o dai mariti, le donne nei campi profughi si supportano l’un l’altra anche attraverso la registrazione delle violenze subite. Una delle fotografie di Canneri testimonia proprio questo: alcune mani si protendono per mostrare all’obiettivo dei fogli di carta, dove “le donne hanno iniziato a scrivere i loro nomi, dove avevano subito la violenza, in che giorno, cosa era accaduto - dice Canneri - perché non possono denunciare. Le istituzioni negano le violenze, che sono uno stigma per le donne. Ma loro vogliono che si parli di quello che è accaduto, vogliono dare voce a questo dolore”.

Soldatesse tigrine in azione sul fronte eritreo, Tigray aprile 2024
Soldatesse tigrine in azione sul fronte eritreo, Tigray aprile 2024   (Cinzia Canneri)

Le donne scelgono anche di arruolarsi nei rispettivi eserciti come forma di sicurezza, perché rimanere nei villaggi significa essere esposte al rischio della violenza sessuale e attraversare i confini mette in pericolo la loro vita. “Negli eserciti le donne si sono ritrovate a dover agire - racconta la fotografa - e i soldati mi hanno detto che la loro forza è venuta fuori soprattutto nei momenti di carestia”. Una resistenza visibile anche nelle ferite fotografate da Cinzia Canneri, non solo segno delle violenze subite, ma anche simbolo della cura, della resilienza e della lotta femminile per una vita dignitosa.

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27 maggio 2025, 12:47