Salgado, addio al fotografo che ha raccontato la Terra e l'umanitÃ
Eugenio Murrali - Città del Vaticano
Sebastião Salgado aveva la capacità di scolpire la luce. Un'iniziale formazione da economista e la grande sensibilità lo hanno portato ad avere un occhio attento alle diseguaglianze, al vorace avanzare della tecnica e dell'urbanizzazione su quel mistero essenziale riscoperto con i suoi scatti: l'umanità, nella sua dimensione autentica, epica, primordiale. Il suo bianco e nero, i contrasti simbolici e visivi, la corporeità quasi tangibile dei soggetti che fissava nel chiaroscuro sono quel canto, quel grido che si levava in ogni sua immagine: esseri umani, alberi, elementi come l'acqua, il ghiaccio, le nuvole o persino il vento colto nella sua forza invisibile. Le sue istantanee si intrecciano spesso con i temi al centro dell'enciclica e dell'esortazione apostolica di Papa Francesco.
"La mano dell'uomo"
Alessandra Mauro, direttrice editoriale di Contrasto, ha lavorato con Salgado: "È stata una persona molto importante per me", ricorda la curatrice. "Ho cominciato a occuparmi di fotografie, di mostre e di libri fotografici all'inizio degli anni Novanta; uno dei primi progetti è stato La mano dell'uomo di Sebastião Salgado. Era dedicato al lavoro manuale dell'essere umano alla fine di un millennio e sulla soglia dell'altro". Alessandra Mauro racconta anche la gioia umana di quell'impegno: "Mi ricordo il piacere, l'entusiasmo nel montare la mostra, nel vedere tutte queste immagini e poi nel realizzare il libro. Ho cominciato a capire la forza del lavoro di Sebastião, che con la fotografia cercava di realizzare grandi progetti di comunicazione intorno a temi cruciali della nostra epoca: il lavoro, le migrazioni e il cambiamento climatico. Tutto questo utilizzando la fotografia in una maniera completamente nuova".
Un racconto epico
Lo stile di Salgado è incredibilmente classico - il bianco e nero molto forte e molto contrastato - ma anche modernissimo nella capacità di immaginare percorsi fotografici e testuali intorno a temi globali. "Ogni progetto che realizzava - sottolinea la direttrice di Contrasto - durava dai sei agli otto anni e metteva insieme, uno dopo l'altro, sessanta o settanta diversi reportage: riusciva ad affrontare un tema - ad esempio quello delle migrazioni, dei movimenti dei popoli - includendo ognuno in questa sua progettualità. Tutti ci sentivamo, e ci sentiamo ancora, rappresentati nel suo racconto epico, fatto per immagini ma ricco di informazioni. In un momento in cui la fotografia sembra aver detto tutto - aggiunge la direttrice di Contrasto - questa capacità di continuare a trovare nuovi modi per raccontare la realtà è veramente un valore molto grande che Sebastião ha portato nella fotografia e nella comunicazione del nostro tempo".
Lo sguardo sulle ferite del pianeta
Uno dei primi grandi amori di Salgado è stato il continente africano, di cui ha raccontato la bellezza e le piaghe, come la siccità. Ma sui temi ambientali è tornato anche negli ultimi anni, in particolare con il progetto sul suo Sudamerica, cui ha dedicato la mostra Amazônia. "Questa esposizione - ricorda Alessandra Mauro - in Italia è stata allestita a Roma, a Milano e a Trieste. Ogni percorso che lui faceva era professionale ma anche umano ed era legato alla sua storia personale. Sebastião Salgado lascia il Brasile e viene in Europa. Un grande libro lo realizza nel suo continente. Si intitola Altre Americhe ed è la scoperta di un territorio diverso. L'ultimo grande affresco è di nuovo dedicato al cuore della sua terra, l’Amazzonia. Questo polmone verde è un luogo di una cultura incredibilmente ampia, da conoscere e da vedere, da salvare e da salvaguardare".
Mostrare la bellezza
L'istanza etica e quella estetica non sono mai scisse nell'opera del fotoreporter. Alessandra Mauro ricorda le grandi capacità compositive di Salgado, che si univano "a una voglia di vivere, di mostrare la bellezza, senza alcun senso di colpa, una maniera forse molto vicina anche al suo modo di essere e di sentire il mondo sudamericano. Però, fondamentalmente, quando una realtà è mostrata nel suo modo migliore si fa un buon servizio anche alla causa etica. Penso al lavoro sul cambiamento climatico. Lui aveva deciso non tanto di presentare il mondo degradato, ma quello che ancora resta di bello, da preservare: con la sua opera ci dice quanto sia importante impegnarsi profondamente contro i cambiamenti climatici, proprio in virtù delle bellezze che ancora dobbiamo custodire e di cui dobbiamo essere fieri e garanti. C'è sempre un messaggio di speranza in lui, una voglia di fare, di essere presenti".
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