Frassati, un “vero fratello” che Leone XIV proclama santo
Eleanna Guglielmi – Città del Vaticano
1925: Giubileo della Pace. 2025: Giubileo della Speranza. Nel mezzo, un secolo di conflitti, guerre, fratture. Un ragazzo torinese, morto a ventiquattro anni, tiene insieme questi due Giubilei. Pier Giorgio Frassati. Ha vissuto da amico di Cristo e fratello di ciascuno, per nome e cognome. Chi è questo giovane che il 7 settembre Papa Leone XIV iscriverà nell’albo dei santi? Lo raccontano le voci dell’Azione Cattolica, parte attrice della postulazione, dall’Italia, dalla Spagna e dall’Argentina. Giovani e responsabili che lo chiamano fratello e maestro di quotidianità: normalità che diventa santità, preghiera che si piega in Dio e verso il fratello, politica come carità.
Quale pace
La bara che attraversò Torino il 6 luglio 1925 non era scortata da notabili, ma da una folla anonima di poveri. Cento anni dopo, la canonizzazione non è un rito per pochi, ma la restituzione pubblica di un giovane che ha preso sul serio il Vangelo senza sconti. Frassati muore nell’Anno Santo della Pace e diventa santo nell’Anno Santo della Speranza. Due epoche lontane ma unite da una domanda che ancora punge: in quale pace è possibile sperare?
Era innamorato
Chi è questo giovane che ci interpella cento anni dopo? Non una statua né un eroe astratto. “Per noi è un vero fratello” dicono i giovani di Azione Cattolica, parte attrice della postulazione. Non da soli, ma insieme ad altre realtà – FUCI, Domenicani, Vincenziani, “Tipi loschi”, diocesi – raccolgono il suo testimone e lo rilanciano. Da un capo all’altro del mondo, dall’Italia all’Argentina passando per la Spagna, la sua eredità continua a risuonare. “La notizia della canonizzazione ci arrivò a sorpresa durante l’Assemblea nazionale del 2024” ricorda Lorenzo Zardi, vicepresidente di AC giovani. “Da quel momento abbiamo cominciato a gioire: era una notizia attesa da tanto tempo”. Per lui, Frassati è un innamorato di Cristo con le mani nella pasta della Storia: “Il suo cammino di santità è la fedeltà al tempo presente, vivere il Vangelo nella quotidianità. Non era un filantropo, ma un giovane che non attese che i poveri diventassero prossimi: andò lui verso di loro”. E non gli bastava un bene fatto per slanci di generosità: voleva gesti capaci di generare altro bene. Uno studente che scelse di “servire Cristo tra i minatori”, un giovane che visse la politica come passione civile, “sempre al servizio del bene comune, partendo dagli ultimi. Un’amicizia che fosse fondamento della pace”. Per questo, dice Zardi, la preparazione alla canonizzazione è stata un “allenare il cuore”: i pellegrinaggi sui Sentieri Frassati, lo spazio museale a Torino, la pubblicazione del volume Di santa ragione. Con Frassati in cammino verso l’alto. “Ai giovani abbiamo continuato a raccontare ciò che anche noi abbiamo riscoperto meditando sulla sua figura”.
Il santo del lunedì
Per Agnese Palmucci, responsabile di AC giovani a Roma, Frassati “è un fratello, non un santo lontano. Un giovane vero, normale, che ci mostra la santità feriale. Noi ci diciamo: siamo quelli del lunedì. Perché la domenica deve continuare ogni giorno. E lui è il santo del lunedì che ci mostra come santificare ogni giorno”. “La sua bellezza – aggiunge Agnese – è che ci mostra la sorgente di tutto il suo fare. Senza quella sorgente, anche l’impegno associativo si svuota”. E ancora: “La sua amicizia era incarnata, la carità nascosta. Al funerale la folla dei poveri disse ai suoi genitori chi fosse davvero. Si indignava per le ingiustizie, non si piegò al fascismo, ma teneva sempre l’occhio ‘verso l’alto’. Ci provoca ancora oggi: non un santo d’altarino, ma un esempio concreto che spinge a dire: voglio essere così anch’io”. A Roma la sua memoria è viva, con mostre itineranti nelle parrocchie e incontri intorno alle sue lettere. In lui, dice Agnese, si vede che “la preghiera è piegarsi in Dio e verso il fratello, perché lui ed io siamo uguali, fratelli”.
Dalle montagne al mondo digitale
Da Buenos Aires, Claudia Carbajal, presidente di AC Argentina, sottolinea “un aspetto decisivo del suo lascito: mostrarci che l’amicizia fondata in Cristo è cammino di santità condivisa”. Non solo come laici impegnati nel loro tempo, ma come battezzati immersi nella realtà concreta. In vista della canonizzazione, i giovani argentini stanno preparando una settimana di testimonianze e un podcast per accompagnare la festa.
Dalla Spagna, Daniel Díaz Rincón Muelas, responsabile del settore giovani di AC, racconta: “Lo viviamo con grande gioia: per noi è un privilegio che un giovane dell’Azione Cattolica salga agli altari. Il suo messaggio è chiaro: essere cristiano nel cuore della vita universitaria, con il coraggio di proclamare la fede in ambienti poco favorevoli, promuovendo l’associazionismo giovanile, tessendo coscienza comune, camminando insieme, impegnandosi nell’ambiente che si abita, oltre lo studio e i propri impegni personali”. Accanto a lui, Fernando Viejo confessa: “Frassati è il modello di un giovane cattolico: studioso, amante della montagna, appassionato di Eucaristia, vicino ai poveri. Mi colpisce che al suo funerale ci fossero proprio loro, i poveri di Torino”.
Insieme con l’uomo delle otto Beatitudini
Il 6 settembre, a Roma, l’Azione Cattolica italiana organizzerà il convegno “Dentro la vita, dentro la storia. La santità di Pier Giorgio Frassati” nella Sala San Pio X, con al centro tre vie: amicizia, pace, giustizia sociale. In serata, la veglia di preghiera a Santa Maria in Traspontina, presieduta da monsignor Claudio Giuliodori. Verrà proclamato il Vangelo delle Beatitudini – perché già da vescovo di Cracovia Giovanni Paolo II definì Frassati “l’uomo delle otto beatitudini”. Poi l’adorazione eucaristica, un silenzio di intimità con Cristo e intercessioni per giovani, poveri e pace. “Saremo davanti a Gesù come stava Pier Giorgio – dice Zardi – ascoltando le sue parole sulla pace e sull’intimità con il Signore”.
La pace non lascia tranquilli
“Io sono povero come tutti i poveri”, disse Frassati. Non una posa, ma un’identità che non lascia tranquilli, che scardina barriere sociali, culturali, politiche. “L’umanità era il suo problema”, scriveva la sorella Luciana. La sua non fu retorica di idee, ma corrispondenza: dare all’altro ciò che gli spetta per diritto di nascita, perché fratello, perché figlio. Non ottimismo, ma allegria che attraversa i dolori. Sulle magliette dei giovani romani è stampata una sua frase: «Mi chiedi se sono allegro? E come potrei non esserlo?», scriveva Frassati. Non ingenuità, ma un “sì” quotidiano immerso nella grazia. “Ogni giorno che passa più mi convinco quanto è brutto il mondo, quanta miseria vi è – scriveva - ma la fede mi suggerisce con voce sicura: da te non farai nulla, ma se Dio avrai per centro di ogni tua azione arriverai fino alla fine”. Questa è per Frassati la speranza, questa la pace: piegarsi in Dio e verso il fratello, trasformare la preghiera in vita, la politica in carità politica. E allora la domanda, radicale: quale “sì” nascosto siamo disposti a dire noi, perché la speranza diventi carne e la pace non resti parola?
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