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La stretta di mano i premier dei due Paesi lo scorso 28 luglio La stretta di mano i premier dei due Paesi lo scorso 28 luglio

Thailandia-Cambogia, padre Figaredo Alvargonzález: il confine sia terreno di amicizia

Il gesuita prefetto apostolico di Battambang interviene sulla fragile tregua tra i due Paesi indicando l’importante contributo delle religioni per disarmare i cuori e per evitare che la frontiera diventi un campo di battaglia

Paolo Affatato – Città del Vaticano

«La pace sia con voi. Le parole che Papa Leone XIV rivolge ai credenti nel messaggio per Giornata mondiale della pace ci toccano da vicino. Nella delicata situazione della fragile tregua tra Cambogia e Thailandia, ci sentiamo interpellati a costruire una pace disarmata e disarmante», dice il gesuita padre Enrique Figaredo Alvargonzález, prefetto apostolico di Battambang, provincia cambogiana al confine con la Thailandia. Interpellato dai media vaticani, il religioso esprime le sue preoccupazioni per la tensione ancora esistente al confine tra le due nazioni, a circa un mese dalla tregua siglata il 7 agosto, dopo un conflitto che ha causato vittime e almeno 100.000 sfollati nelle province cambogiane e oltre 160.000 sul versante thailandese. Le parole del Papa, spiega, «ci ispirano oggi a mettere il nostro cuore dentro il cuore di Cristo, che è un cuore disarmato. Così si spegneranno gli odio e la violenza e avremo pace in Cambogia e Thailandia».

Il confine, terreno di amicizia

Nei rapporti tra due nazioni, che condividono una frontiera di oltre 800 chilometri e condividono un patrimonio religioso e culturale caratterizzati dal buddismo, il prefetto condivide una riflessione sul significato e la concezione di «confine» che, asserisce, «dovrebbe essere un terreno di amicizia e cooperazione, piuttosto che un campo di battaglia». Per questo, osserva il prefetto apostolico «occorrono chiarezza giuridica, una volontà politica dei governi, fiducia reciproca, che va costruita e consolidata, e un impegno condiviso per la pace e la stabilità regionale», come ha auspicato l’Asean (l’Associazione delle nazioni del Sudest asiatico) che ha mediato per raggiungere la tregua. «Ora il passo successivo e necessario — nota Figaredo — è un trattato di pace stabile e duraturo», che possa donare nuovamente «certezze, sicurezza e prosperità alla gente delle province di frontiera». 

Solidarietà interreligiosa

Gli sfollati sono, infatti, oggi la priorità: «I civili sistemati nei campi profughi — informa — non possono tornare nelle loro case e nei villaggi perché vi sono bombe inesplose, le bombe a grappolo, che rendono pericoloso il territorio. Bisogna bonificarlo e per farlo ci vorranno mesi», rileva. «La povera gente — racconta — non ha mezzi di sostentamento e deve restare dunque in attesa di aiuti umanitari». Tra loro vi sono molte famiglie, anche alcune cattoliche, «la cui vita è stata improvvisamente sconvolta. Tuttavia, prosegue, «in un quadro di precarietà e sofferenza vi è profonda solidarietà interreligiosa, intensa empatia, calorosa accoglienza e aiuto reciproco: tutto questo ci dà speranza e permette di trovare un seme di bene in questa tribolazione».

Violazione del cessate-il-fuoco

Intanto, come ha riferito l’agenzia Fides, la Cambogia lamenta il fatto che, in violazione del cessate-il-fuoco, in alcune aree i militari thailandesi hanno installato nuove reti con filo spinato allargando il proprio confine; mentre Bangkok accusa la Cambogia di continuare a collocare mine antiuomo nelle regioni frontaliere anche dopo la tregua. Figaredo ricorda che «la pace nel mondo si costruisce partire dalla quotidianità, dal nostro stile di vita, in famiglia, nella comunità, nel territorio. La pace comincia dalle nostre relazioni con il prossimo, dunque ci chiama a un cambiamento del cuore, per vivere relazioni pacifiche con il nostro vicino o con il confinante», osserva. E, «nel contesto delle relazioni tra Cambogia e Thailandia bisogna restaurare pace nel linguaggio, tornando a parole intrise di compassione e riconciliazione». «Qui — prosegue — i buddisti dicono metta e karuna (amore e compassione ndr.). La lingua è un fattore simbolico importante, che ispira una visione e il comportamento umano: bisogna abbandonare i discorsi di odio e usare parole di pace». Nell’attuale situazione, i cattolici cambogiani, una esigua minoranza tra la popolazione a larga maggioranza buddista, fanno la loro parte: «Coltivano un atteggiamento interiore di non violenza e si dedicano a confortare le persone più deboli e vulnerabili, tenendo viva la speranza di un domani migliore». 

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31 agosto 2025, 09:00