Meeting di Rimini, la letteratura come palestra dello sguardo per l’umanità
Guglielmo Gallone – Rimini
Cosa significa davvero fare esperienza della realtà attraverso le pagine di un libro? Come la letteratura può diventare palestra dello sguardo, allenandoci a vedere con gli occhi dell’altro? Sono queste le domande che, ieri sera, sono riecheggiate nel cuore del Meeting di Rimini. Punto di partenza: la consapevolezza che leggere non è mai un atto neutro bensì è coinvolgimento personale, è ampliamento di prospettiva, è costruzione di quella ampiezza di umanità che solo le storie sanno regalare. Questa indagine sul potere trasformativo della lettura è stata affidata a due scrittori che sono anche due educatori: Eraldo Affinati e Paolo Malaguti.
Perché, ha esordito Affinati, “scrivere e insegnare significa condividere una responsabilità comune. Cioè, la responsabilità della parola. Parola scritta, nel caso dello scrittore; parola orale, nel caso dell’insegnante. L’insegnante deve assumere la responsabilità dello sguardo dei suoi studenti. E anche lo scrittore è vincolato all’esperienza che deve trasmettere”. Questo, ha evidenziato lo scrittore, è un punto fondamentale nelle due lettere scritte da Papa Francesco che hanno fatto da guida a questo evento moderato da Letizia Bardazzi, presidente dell’Associazione italiana centri culturali: la lettera sul ruolo della letteratura nella formazione, datata 17 luglio 2024, e la lettera ai poeti, pubblicata nel libro Versi a Dio. Antologia della poesia religiosa (Crocetti editore, 2024).
La letteratura aiuta a discernere e prendere posizione
Oggi, ha detto Affinati, “viviamo un rischio fortissimo: quello di considerare le nostre parole libere, cioè sganciate dalla necessità del riscontro. I giovani spesso hanno l’illusione di poter dire, sognare, fare qualsiasi cosa. L’educatore, invece, deve riuscire a far capire ai ragazzi che non possiamo permetterci di essere tutto e il contrario di tutto. C’è il momento in cui bisogna scegliere di fronte alle opzioni che si hanno di fronte. Questa scelta non può essere sempre in uno stato di sospensione. E, riprendendo il pensiero di Bergoglio, la letteratura ti aiuta a discernere. I grandi scrittori ti chiamano a prendere posizione. Prendere posizione significa rinunciare. E questo non è facile. Rinunciare è doloroso, significa mettere da parte una cosa in cui si crede per scegliere una cosa in cui si crede di più. La letteratura insegna che la libertà non è delirio e superamento del limite. La libertà è accettare il limite, un percorso di educazione sentimentale che oggi i giovani faticano a fare. La rivoluzione digitale li illude, li seduce, ne droga il desiderio. La letteratura, al contrario, aiuta a crescere, a diventare ciò che magari tu già sei e non sai. Sant’Agostino, col suo concetto di maestro interiore, faceva riferimento al fuoco originario che è in tutti noi. L’insegnante è colui che è capace di vedere il futuro negli occhi degli studenti. Quel futuro a loro ancora ignoto”.
La letteratura e il messaggio cristiano
Ma come può avvenire un processo simile? “Quando provo a spiegare la base di un testo narrativo, dico che è un testo in cui qualcuno fa qualcosa. Al centro del romanzo ci sono le persone. E questa centralità è speculare alla centralità dell’uomo nel messaggio cristiano”, ha detto Malaguti, riagganciandosi alla figura di Erich Auerbach secondo cui, grazie alla narrazione del Vangelo, si è introdotta una nuova forma di realismo nella letteratura. “Non si tratta solo del Dio che si fa uomo. Si tratta anche della dignità di ogni singolo essere umano. E questo è emozionante. Ci rinnova sempre nella responsabilità di mettere al centro dei nostri racconti la dignità umana. Ci ricorda che quando noi mettiamo uomini e donne al centro delle nostre storie, ci rivolgiamo poi a uomini e donne che prenderanno in mano i nostri racconti. In effetti, nel cristianesimo non ci siamo accontentati di un testo sacro. Ne abbiamo quattro. Questo vuol dire, secondo me, che conta la centralità dell’uomo e che la stessa storia può essere raccontata da quattro voci, da quattro punti di vista diversi”. Malaguti insiste evidenziando che “l’artista è un uomo che sogna nel senso che guarda oltre e che cerca un senso. Spesso vediamo nei giovani, persino di 16 o 17 anni, un forte cinismo di cui noi non possiamo non ritenerci responsabili. La letteratura può avere una grande funzione: sollecitare l’immaginario, proporre chiavi interpretative, aprire mondi diversi. Noi non possiamo rinunciare a dare ai ragazzi una chiave di senso. Non possiamo condannarli al cinismo”.
“La storia ti chiama in causa”
Come non pensare in questo senso ai grandi romanzi che sembrano proprio assumere questa funzione. Affinati cita I fratelli Karamazov, di Fedor Dostoevskij, che “appare come libro del sottosuolo, come storia di parricidio, come una radiografia del male. Certo che è questo, ma noi dimentichiamo che in quel romanzo c’è poi una luce. Non a caso, I fratelli Karamazov finisce con i funerali di Iljuša che mostrano la prospettiva di una fede in una vita futura e che rende una storia del male, una storia di salvezza. La letteratura è un’intensificazione della vita. Non può dare risposte facili. Ma affinché si arrivi a questo, bisogna portare il lettore a immedesimarsi nella letteratura. Come Dietrich Bonhoeffer, teologo luterano ucciso dal nazismo, noi siamo chiamati ad agire qui ed ora. Dobbiamo prendere posizione, sporcarci le mani, rischiare di sbagliare, entrare dentro l’azione, dobbiamo ferirci, farci male, non possiamo avere una coscienza immacolata davanti alla storia. La storia ti chiama in causa. E chi più di un insegnante sente questo richiamo a toccare con testa, con mano, con cuore? Dobbiamo rifuggire dall’idea di un’arte libera, staccata dalla vita”.
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