Giubileo dei giovani, la vicinanza dei salesiani a chi è in cerca di riscatto
Roberta Barbi – Città del Vaticano
Saranno circa cinquemila i giovani della Congregazione salesiana che parteciperanno a Roma alle celebrazioni del Giubileo loro dedicato: in programma catechesi e lectio divinae per gruppi, ma ovviamente il culmine sarà il momento penitenziale del venerdì, la Veglia del sabato e la Messa con Papa Leone la domenica. E poi una sorpresa: “Stiamo preparando per loro una mezza giornata di esperienza oratoriale – rivela ai media vaticani don Fabio Attard, dai primi di aprile rettor maggiore della congregazione - ci saranno occasioni di gioco, di conoscenza, amicizia, poi anche l’ascolto comunitario della Parola di Dio e l’adorazione eucaristica”.
Sulle orme di don Bosco tra i giovani "pericolanti"
Subito dopo la sua nomina, don Attard ha voluto visitare i giovani ospiti dell’istituto di pena minorile di Torino Ferrante Aporti, proprio come fece Don Bosco all’epoca in cui il carcere si chiamava Generala: “Don Bosco era un giovane sacerdote appena arrivato a Torino, una città che allora era come le nostre di oggi: arrivavano giovani dalle campagne, oggi arrivano migranti anche minori non accompagnati e, quando si trovano in situazioni di precarietà o disperazione, sbagliano – racconta ancora il rettor maggiore - il suo padre spirituale, don Giuseppe Cafasso, che era docente di Teologia morale ma si occupava anche di pastorale penitenziaria, lo portò con sé in carcere. Da allora i salesiani per tradizione hanno la cappellania del minorile di Torino: per noi non è solo una presenza pastorale importante, ma anche significativa da un punto di vista carismatico”.
Lo stile del Buon Pastore
Don Bosco passava molto tempo nel carcere che allora si chiamava “Generala”, tanto che proprio qui inventò il cosiddetto “sistema preventivo”, fatto che è ricordato anche da una targa presente ancora oggi in un corridoio della struttura: “Il suo stile era quello del Buon Pastore, che ama le sue pecore ed entra in contatto con i loro desideri – racconta don Attard – era capace di creare un ambiente di fiducia e rispetto senza negare la parte vulnerabile che aveva portato il giovane a sbagliare, ma neanche dimenticandone l’umanità, che l’uomo non perde neppure dopo aver commesso i crimini peggiori”. Inoltre, Don Bosco aveva ben presente che siamo creati per guardare verso l’alto, il bene, il sacro, il bello, il trascendente: “Con i giovani creava quella che oggi chiameremmo empatia, ma che lui chiamava amorevolezza – prosegue – diceva che gli adulti devono creare un ambiente sistemico in cui comunicare la bontà e i valori al di là del risultato”.
La “Generala” oggi
Oggi la Generale si chiama Ferrante Aporti e come molti altri istituti di pena minorili è piena di giovani stranieri: “È troppo facile giudicare per chi sta fuori, invece bisogna mettersi nelle scarpe dei detenuti – afferma il rettor maggiore – San Giovanni Bosco diceva che anche nel ragazzo apparentemente peggiore c’è un punto di bontà. Il nostro compito è proprio scoprirlo e renderlo accessibile a tutti. Andiamo in carcere e tra i giovani per condividere il dono dell’ascolto, non per fare prediche!”.
Il messaggio del Santo dei Giovani
Dopo il Giubileo dei Giovani, don Attard riporterà la gioia vissuta insieme anche ai ragazzi del Ferrante Aporti: “Il messaggio è quello: portare noi stessi, la dimensione di bontà di cui siamo convinti e che cerchiamo di vivere ogni giorno, pur con i nostri errori e le nostre imperfezioni – conclude – sempre sull’esempio di Don Bosco che questo messaggio di bontà prima di comunicarlo lo viveva in prima persona”.
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