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Studenti universitari in Africa Studenti universitari in Africa  (AFP or licensors)

Gibuti, la Chiesa al fianco dei bambini più poveri

La Chiesa cattolica del piccolo Stato dell'Africa orientale sostiene la formazione dei minori e dei migranti con il progetto Lec (Lire, écrire, compter) per dare loro un futuro migliore. «Le porte sono aperte a tutti i ragazzi e le ragazze, siano essi cristiani o musulmani», spiega il vescovo di Gibuti, Jamal Boulos Sleiman Daibes

di Enrico Casale 

Sono bambini tra gli 8 e i 12 anni, molti dei quali non sanno leggere né scrivere, né eseguire le quattro operazioni basilari. Le loro famiglie, spesso troppo povere, non li mandano a scuola avendo bisogno di braccia per lavorare. Tale situazione ipoteca il futuro di questi ragazzi e ragazze: analfabeti, non riescono a emanciparsi da una vita di precarietà. Per rispondere a questa urgenza, a Gibuti, piccolo stato dell’Africa orientale, ex colonia francese, la Chiesa cattolica ha dato vita ai Lec (Lire, écrire, compter). «Le porte sono aperte a tutti i ragazzi e le ragazze, siano essi cristiani o musulmani», spiega il vescovo di Gibuti, Jamal Boulos Sleiman Daibes: «A loro offriamo la possibilità di ricevere una formazione che li aiuti a costruire un futuro migliore, slegato dalla miseria da cui spesso provengono».

Un punto di riferimento per la crescita sociale

La Chiesa cattolica in Gibuti è una realtà numericamente ridotta, contando tra i 4000 e i 5000 fedeli, la maggior parte dei quali stranieri. «Abbiamo censito cattolici di venticinque nazionalità diverse», aggiunge il presule: «Molti sono europei o statunitensi di stanza nelle basi militari presenti nel paese. Ci sono però anche tanti africani: rwandesi, burundesi, congolesi, malgasci. La nostra è una comunità aperta e le differenze rappresentano una ricchezza. Festeggiamo insieme le principali ricorrenze religiose e ognuno porta la propria cultura e le proprie tradizioni. Le diversità si fanno unità in Gesù Cristo». Pur nelle sue piccole dimensioni e con forze limitate, la Chiesa cattolica è un punto di riferimento per l’intera comunità gibutiana. I Lec sono un esempio tangibile di come la comunità cattolica lavori per la crescita sociale di questa nazione africana. «Le scuole di base — osserva monsignor Daibes — sono un trampolino che aiuta i più bisognosi a costruirsi un futuro. Molti, dopo i tre anni, continuano a studiare. Alcuni frequentano corsi professionali per imparare un mestiere come sartoria, carpenteria, elettrotecnica, meccanica o informatica. Altri proseguono in percorsi più formali. Sono orgoglioso del fatto che alcuni di loro, partiti dai Lec, siano riusciti a laurearsi e a ricoprire posizioni di rilievo. Un grande successo per noi».

L'accoglienza dei minori migranti

Il settore educativo è al centro dell’azione della diocesi di Gibuti che gestisce tre scuole primarie risalenti agli anni Cinquanta e Sessanta: due nella capitale e una nella regione meridionale di Ali Sabieh. Attualmente, oltre ai cinque anni della scuola primaria, queste scuole includono una sezione prescolare (un anno prima dell’inizio della primaria). Gli istituti, informa il presule, «sono gestiti anche grazie al supporto dello Stato che, tramite una convenzione, fornisce e remunera gli insegnanti. Questo è un sostegno importante per noi». Le scuole sono aperte a tutti, inclusi i ragazzi con disabilità: «In Africa c’è un forte stigma sociale nei confronti delle persone con disabilità. Noi abbiamo un programma per accogliere questi ragazzi e ragazze, aiutarli a studiare e integrarli con gli altri studenti, organizzando attività comuni. Ciò aiuta le famiglie a comprendere che la disabilità può essere una risorsa e non una vergogna da nascondere». L’attenzione verso i ragazzi e le ragazze va oltre la formazione. Gibuti è un paese di transito per molti migranti che cercano di attraversare il Mar Rosso per raggiungere la Penisola arabica. Tra di essi, molti sono minori non accompagnati dai genitori. «Quello dei piccoli migranti è un problema grave», sottolinea il vescovo: «La maggior parte di essi viene dall’Etiopia, che vive una situazione delicata, altri dalla Somalia o da altre nazioni dell’Africa orientale. Vivono per strada, si arrangiano con espedienti e affrontano mille rischi». La Caritas locale, in collaborazione con Unicef, li accoglie in un centro dedicato, dove vengono nutriti, curati se malati, ospitati per la notte e dove si organizzano attività per loro.

Al servizio degli ultimi

«Questi ragazzi e ragazze provengono da esperienze dure, tragiche. Il cammino dall’Etiopia è faticosissimo e la strada li espone a ogni tipo di abuso. Noi cerchiamo di aiutarli: qui trovano un ambiente amichevole che li toglie dalle strade. Abbiamo anche aderito a un programma dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni  per favorire il rientro nel loro paese». Nel centro operano numerosi volontari, inclusi alcuni militari della base italiana. Lo stesso medico della base si reca una volta a settimana per visitare i piccoli. «La nostra Chiesa è piccola e ha pochi mezzi — conclude monsignor Daibes — ma vogliamo lo stesso essere testimoni di fede al servizio degli ultimi».

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26 luglio 2025, 12:26