Le sofferenze dei malati di Covid affidate al Papa
Fabio Colagrande – Città del Vaticano
“La mia è stata una risposta a una chiamataâ€. Così don Marco Galante, cappellano dell’Ospedale “Madre Teresa di Calcuttaâ€, a Monselice, provincia di Padova e parroco di quattro comunità diocesane, racconta la sua esperienza come sacerdote accanto ai malati nel Covid hospital di Schiavonia. “L’intuizione - spiega - è stata del nostro vescovo Claudio Cipolla che mi ha chiesto se me la sentivo di dedicare 24 ore di servizio agli ammalati Covid e io gli ho risposto di sìâ€. Così, il sacerdote del padovano si è ritrovato a vivere in concreto ciò di cui Papa Francesco parla nell’enciclica “Di fronte al dolore del fratello, non possiamo girarci dall'altra parte e così a nome della Chiesa sono rimasto accanto a queste persone per un mese intero, notte e giorno, e poi da dicembre andando tutte le mattine nei reparti Covidâ€.
L'idea di scrivere a Francesco
Quando è in servizio, don Marco è bardato con la tuta ermetica che indossano tutti gli operatori sanitari. A distinguerlo c’è solo il nome scritto con il pennarello sul camice e accanto a una grande croce stilizzata. Dopo mesi di questa inedita e coraggiosa esperienza pastorale, accanto a chi soffre, il cappellano prende la decisione di scrivere a Papa Francesco. “Parlando con un amico giornalista gli ho confidato che avrei voluto far arrivare al Papa un messaggio e che cioè spesso gli ammalati con cui parlo e che con me si confidano, mi chiedono di poter offrire le loro sofferenze e il loro dolore per il bene della Chiesa e per le intenzioni del Papaâ€. L’amico di don Marco rimane colpito dalla profondità di questa confidenza e lo invita a scrivere lui stesso al Pontefice. “Questa cosa mi ha dato il coraggio di prendere carta e penna, anzi di prendere il computer, e scrivere una mezza paginetta nella quale ho raccontato questa mia esperienza di prete a Papa Francesco. Ma gli ho anche raccontato di un signore che, proprio due settimane fa, mentre veniva dimesso dall'ospedale di Schiavonia, mi ha voluto ringraziare perché lo avevo invitato a offrire il suo dolore, la sua sofferenza per Papa Francesco e per il bene della Chiesa. Questo signore mi ha ringraziato perché l’avevo aiutato a dare un senso alla malattia che aveva vissutoâ€.
Una preghiera che aiuta a sopportare il dolore
Ma cosa significa per chi è ricoverato in un reparto Covid, offrire la propria paura, la propria fragilità e le sofferenze causate dal virus per gli altri, per la Chiesa e per il Papa? “Non significa fare qualcosa di particolareâ€, spiega don Marco. “Non vuol dire mettersi a pregare, oppure mettersi in ginocchio, ma significa scegliere di affidare il dolore che si sta patendo a qualcun’altro, per un bene più grandeâ€. È una preghiera che nasce proprio per contrastare l’insensatezza del male. “Difficilmente riusciamo a dare un significato al dolore - prosegue don Marco - quindi poterlo mettere nelle mani di un altro ci aiuta a viverlo, a sopportarloâ€.
La telefonata da Casa Santa Marta
Dopo qualche tempo che aveva spedito questa lettera al Papa, don Marco ha ricevuto una telefonata inaspettata da Casa Santa Marta. “Devo dire che è stata una sorpresa che mi ha spiazzato. Io come carattere sono incline alle battute, allo scherzo, ma in questo caso non sono riuscito a proferire parola. Sentire la voce del Papa dall'altra parte del telefono è stato davvero un momento forte, ma sono contento che non sia stata una telefonata rivolta alla mia persona, ma alla realtà dell'ospedale in cui vivo e lavoro insieme a tante altre persone, quindi è stata una benedizione per tuttiâ€. Una battuta però è riuscito a farla il Papa: “Quando ho sentito chi era ho esclamato: mamma mia! Papa Francesco mi ha detto che non era la mia mamma, ma era il Papa e si è messo a ridere di gusto. Anch'io ho sorriso, però mi sono anche seduto perché è stato un momento molto bello, ma anche molto emozionanteâ€.
Meno tensione fra i reparti, ma serve prudenza
Don Marco continua oggi, anche se non più a tempo pieno, ad assistere i malati colpiti da coronavirus nel Covid hospital di Schiavonia, in provincia di Padova. “Oggi la situazione sta migliorando, nel senso che c'è meno tensione nei reparti. Sabato scorso ne è stato chiuso uno su tre, quindi attualmente ce ne sono solo due, più la terapia intensiva. Da ormai dieci giorni i ricoveri sono nettamente diminuiti e addirittura quelli in terapia intensiva, in questi dieci giorni, si sono proprio azzerati e si continuano a curare le persone che già erano in quel repartoâ€. Una situazione che apre alla speranza anche se don Marco invita sempre alla prudenza. “Resta fondamentale rispettare quelle tre regole base che ci permettono di contrastare questo virus: la mascherina, il distanziamento e l'igienizzazione delle maniâ€.
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