La diocesi di Ales-Terralba in aiuto delle aziende in crisi
Fabio Colagrande – Città del Vaticano
All’Angelus del 2 agosto Papa Francesco ha ricordato che “la povertà e la mancanza di lavoro sono un problema del post pandemiaâ€, sottolineando che ci vuole “tanta solidarietà e tanta creatività per risolverloâ€. A dare il buon esempio in questa direzione è stata la diocesi di uno dei territori più poveri d’Italia, quella di Ales-Terralba in Sardegna, che ha stanziato duecentocinquantamila euro per aiutare le aziende locali in ginocchio a causa dell'emergenza pandemia. Il fondo, intitolato a “San Giuseppe Lavoratoreâ€, è costituito con il contributo dell’8xMille ordinario e con altre quote diocesane ed è rivolto alle piccole imprese e ai lavoratori autonomi in grave difficoltà dopo i mesi di “lock-downâ€. La richiesta del contributo, che dovrà pervenire entro il 31 agosto, sarà valutata da un comitato tecnico nominato dall’arcivescovo padre Roberto Carboni, amministratore apostolico di Ales-Terralba. Il sostegno sarà a fondo perduto anche se i beneficiari sono invitati a portare avanti questo circuito di solidarietà. Don Marco Statzu, direttore della Caritas diocesana di Ales-Terralba, spiega la genesi e i dettagli del progetto ai microfoni di Radio Vaticana Italia:
R.- Da marzo in poi abbiamo registrato un aumento delle richieste di aiuto improvviso e drastico. Abbiamo fornito un aiuto materiale indicativamente di cinquemila pacchi al mese. Le domande sono aumentate all’incirca del 30%, rispetto alle persone che già prima si rivolgevano a noi perché non riuscivano a sostenere le spese. Ci siamo resi conto che tra queste persone ci sono anche tanti che mai avrebbero pensato di doversi rivolgere alla Caritas o quantomeno di doverci raccontare le loro gravi difficoltà. In dialogo con il vescovo, monsignor Roberto Carboni, siamo riusciti, dopo più due mesi di lavoro, a creare questo Fondo di Solidarietà intitolato a San Giuseppe Lavoratore destinato proprio alle micro e piccole imprese e ai lavoratori autonomi che operano nel territorio della diocesi.
Il fondo di aiuto riguarda anche i titolari di partita IVA che hanno chiuso l'attività o l'hanno dovuta ridurre in maniera considerevole durante il “lock downâ€. È infatti questa la causa principale della crisi…
R.- Sì, tante imprese o piccoli lavoratori che riuscivano, tutto sommato. anche a vivere dignitosamente, avendo dovuto chiudere l’attività per alcuni mesi per le misure anti-Covid, hanno visto il loro lavoro andare letteralmente in fumo. Qualcuno ha ricominciato e forse anche bene, ma altri sono veramente in gravi difficoltà.
E parliamo di un territorio già abitualmente caratterizzato da un’alta disoccupazione, non è vero?
R.- Il nostro territorio, nella Sardegna sud-occidentale, è uno dei più poveri d'Italia. L'ex provincia del Medio Campidano, che ora è stata riassorbita nella provincia del Sud Sardegna, è credo la penultima provincia per reddito pro capite in Italia. Stiamo parlando di un territorio poverissimo, dove la dispersione scolastica raggiunge picchi del 30% e la disoccupazione picchi altissimi superiori al 25, 30%. È un territorio che aveva già tanti problemi e la pandemia non ha fatto altro che aumentarli a dismisura.
A decidere se assegnare l’aiuto ad imprese, aziende o lavoratori che ne faranno richiesta sarà un comitato tecnico. Come funzionerà il meccanismo?
R.- Abbiamo cercato di rendere le cose facili, ma un minimo di documentazione è ovviamente necessaria. Chiediamo di sapere qual è al momento lo Stato dell'impresa che chiede il sostegno. I richiedenti possono poi presentare qualunque tipo di richiesta di pagamento relativa a fatture di beni o servizi oppure di utenze o di altre spese. Il comitato tecnico, nominato dal nostro vescovo, valuta le singole domande e in caso affermativo eroga il contributo. Abbiamo cercato di presentare un modulo più semplice, rispetto a quello di altri enti statali o parastatali che esigono l'impossibile. Però è ovvio che un minimo di serietà è necessaria nel presentare la domanda.
L’aiuto per queste aziende in crisi ha però una particolarità. Le imprese che lo riceveranno, e che poi supereranno la crisi, potranno restituirlo sotto forma di beni e servizi a persone in stato di disagio. Chiedete a chi riesce a risollevarsi di continuare questo circuito virtuoso di solidarietà?
R.- Esatto! Lo scopo è proprio questo. Il contributo è totalmente a fondo perduto, occorre sempre ribadirlo perché qualcuno teme che i soldi assegnati siano poi richiesti indietro dalla diocesi. Quindi, il contributo è e rimane a fondo perduto ma noi abbiamo pensato di promuovere all'interno del nostro territorio una forma di mutua assistenza, un circolo di buone pratiche nel quale chi ha ricevuto a sua volta poi dona. Dona però non secondo una misura che imponiamo noi a livello percentuale o di altro tipo, ma secondo la sua disponibilità e la sua discrezione. Crediamo che questa libertà potrà far aumentare, e non diminuire, il circolo di buone pratiche. Abbiamo fiducia nel fatto che gli imprenditori e i lavoratori sono generosi e quando possono fanno davvero tanto bene. Lo abbiamo sperimentato durante la pandemia: molti imprenditori in crisi, molte aziende che erano chiuse hanno comunque offerto il loro sostegno a chi ne aveva bisogno.
Come sacerdote come ha vissuto i mesi più duri della pandemia e quale rinnovamento auspica possa portare questo periodo nella vita ecclesiale?
R.- Debbo dire che non ho fatto credo un giorno intero di confinamento a casa, perché proprio a causa di questa emergenza sono dovuto uscire tutti i giorni, ovviamente rispettando tutte le regole possibili e immaginabili. Certamente. anch'io l'ho vissuto con lo smarrimento di tutti, perché non era mai capitato neppure a me come prete di trovarmi in una situazione simile. Non potevo celebrare con il mio popolo, non potevo incontrare le persone, e si pensi che noi basiamo il nostro impegno e il nostro lavoro soprattutto sull'incontro e sull'ascolto. Quindi non entrare in contatto con questa umanità, con la quale normalmente ho a che fare ogni giorno, è stato davvero pesante. Ho cercato personalmente di affrontare la cosa con la Fede e con la Parola di Dio che ci ispira sempre anche nei momenti più difficili. Io ho trovato conforto soprattutto nei Libri dei Profeti: nelle pagine relative alla situazione drastica legata all'esilio di Israele nella quale i profeti portavano parole di speranza al popolo.
Come sta riprendendo ora la vita delle comunità, delle parrocchie? Non c’è il rischio, usando le parole del Papa, di “sprecare†questa crisi?
R.- Eh, speriamo di no! Certo il rischio c'è sempre perché l'uomo è un animale che si abitua alle cose. Io credo che noi non possiamo tornare allo “status quoâ€, al modo in cui facevamo le cose prima anche nelle parrocchie. Dobbiamo, al contrario, sapere intercettare le richieste di spiritualità e di umanità che vengono da tutte le parti. Io non credo che la soluzione possa essere solo un incremento dello “streamingâ€, della presenza digitale, per dirla in modo pratico. Penso che bisogna tornare a un'umanità nuova, a un modo di relazionarsi anche nuovo che forse fino ad oggi abbiamo dato per scontato. Ci sembrava che tutto andasse bene o quantomeno in modo regolare: prime comunioni, cresime, matrimoni, eccetera eccetera… Invece abbiamo sperimentato che queste cose fatte così come le abbiamo sempre fatte non bastano.
Intende dire che la vita di comunità e anche altro…
R.- Direi proprio di sì e dobbiamo riscoprire proprio questo. Qualcosa che finora è davvero mancato. Forse per abitudine, perché le nostre comunità parrocchiali hanno sempre svolto una vita piuttosto regolare. scandita da un calendario di feste, appuntamenti e incontri che improvvisamente è stato spazzato via. Certo un desiderio di normalità c'è in tutti noi, ma credo che non possiamo semplicemente riprendere a fare le cose che facevamo prima.
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