Gregoriana, un convegno sulla memoria della Shoah per le nuove generazioni
Eugenio Murrali - Città del Vaticano
Ottanta anni fa, l’8 maggio, sul territorio europeo terminava la Seconda guerra mondiale. Oggi, la trasmissione della memoria, in particolare dell’Olocausto, sta entrando in una fase delicata. Con la scomparsa dei testimoni diretti si pone il problema di come raccontare la Shoah alle nuove generazioni. A questo tema, in una data tanto significativa, è stata dedicata la giornata di studio Preserving Memory: The Shoah at the Crossroad of Generations – Proteggere la memoria: la Shoah al crocevia delle generazioni, organizzata a Roma presso la Pontificia Università Gregoriana dal Centro Cardinal Bea, con un’introduzione del pro-direttore Massimo Gargiulo, insieme all’Ambasciata di Israele presso la Santa Sede e alla presenza dell’ambasciatore Yaron Sideman, sotto il patrocinio del Dicastero vaticano per la Cultura e l’Educazione.
Il dialogo tra ebrei e cristiani
Nel 2019, Papa Francesco, in una , a cinquant’anni dalla scomparsa, si era rivolto con queste parole ai partecipanti: “Voi insegnate in un ambiente dove la vostra presenza rappresenta una novità ed è già di per sé un messaggio. Come, infatti, introdurre a un dialogo autentico senza una conoscenza dal di dentro? Il dialogo va portato avanti a due voci, e la testimonianza di docenti ebrei e cattolici che insegnano insieme vale più di tanti discorsi”. In quella stessa occasione, Papa Francesco invitava a uscire dai confini della comunità scientifica, per portare i frutti di questo confronto fecondo nella quotidianità.
La Vatican Archives Initiative
Un aspetto di questo scambio presentato nel corso della tavola rotonda è la Vatican Archives Initiative, il lavoro che l’United States Holocaust Memorial Museum sta portando avanti su circa sedici milioni di pagine rese accessibili da Papa Francesco nel 2020. Sono relative al periodo 1939-1958 ed è un impegno importante che, come sottolinea Suzanne Brown-Fleming dell’USHMM, coinvolge numerose istituzioni. E gode di collaborazioni importanti come quella con lo Yad Vashem, l’Ente Nazionale per la Memoria della Shoah a Gerusalemme.
I programmi di Yad Vashem
Eliot Nidam Orvieto, dello Yad Vashem, ha ricordato che “c’è ancora molto da apprendere e comprendere attorno all’Olocausto”. Per questa ragione i programmi dell’ente sostengono i giovani studiosi e affrontano anche il tema dell’educazione, di come, cioè, vada tramessa la memoria della Shoah alle nuove generazioni, tenendo conto anche delle possibilità e dei rischi rappresentati dalle nuove tecnologie, soprattutto dall’Intelligenza Artificiale.
Le voci dei testimoni
Nel corso del convegno, Stefania Zezza, dell’Università di Tor Vergata, ha evidenziato l’importanza di rileggere con un approccio interdisciplinare le testimonianze orali dei sopravvissuti, che sono state a lungo marginalizzate nel dopoguerra, quando persisteva una tendenza a dimenticare le ferite della Storia recente. Quelle voci, che sono invece una fonte imprescindibile, vanno rilette tenendo conto di tre fattori: la deculturazione, il trauma, il linguaggio dei sopravvissuti.
Una memoria inconsolabile
Al tema della trasmissione si lega il problema della progressiva perdita di quei testimoni. Il rabbino franco-israeliano David Meyer ha parlato di una “memoria inconsolabile”: “Penso alla profondità del dolore, della sofferenza, della perdita, del dramma e del trauma teologico che ha creato la Shoah. Se la memoria fosse ‘consolabile’, non sarebbe fedele a quella profondità”. Ma la sfida più decisiva è nella trasmissione. Osserva Meyer: “Quando non ci saranno più i testimoni, né coloro che hanno conosciuto i testimoni, potranno i documenti trasmettere le emozioni? Questa è la domanda alla quale secondo me oggi dobbiamo rispondere”.
Trasmettere la storia oggi
La giornata è stata anche un esempio di come quella della Shoah possa essere una memoria viva. Ne hanno dato prova giovani ricercatori, trai i quali Eirene Campagna, IULM e Centro Bea, ed Emilio Arjuna Valencia Ochoa, studente del Centro Bea, che hanno posto al centro dei loro interventi una riflessione sulle nuove forme di comunicazione della storia dell’Olocausto. Uno sguardo attento su quanto l’arte cinematografica e altre forme di espressione siano in grado di creare consapevolezza ed empatia, ma anche, in alcuni casi, di produrre espressioni controverse, o di come i viaggi nei luoghi della tragedia e nei musei della memoria, possano essere un incontro profondo con la Storia ma debbano, a volte, far fronte a fenomeni superficiali come quello del Dark tourism.
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