Ricerca, prevenzione e inclusione. In Vaticano un convegno sulle cure oncologiche
Edoardo Giribaldi – Città del Vaticano
Ci sono diagnosi che non colpiscono solo il corpo, ma l’intera esistenza. Come il cancro, che non arriva mai da solo. Spesso si accompagna al peso invisibile delle “disuguaglianze”: di genere, di etnia, di latitudine. “In Africa, solo un malato su dieci ha accesso alla radioterapia, una delle armi più efficaci contro la malattia”. Un dato che è cifra e simbolo di un mondo diviso, dove la salute non è ancora un diritto universale. Anche in Europa, dove la medicina ha fatto passi da gigante, le differenze persistono. Le donne, in particolare, continuano a incontrare ostacoli che si frappongono fra loro e una diagnosi precoce, quella che può fare la differenza tra la vita e la morte.
Su questo scenario si è acceso un riflettore forte e consapevole. Un convegno organizzato tra ieri, 22 maggio e oggi, tra le mura della Casina Pio IV in Vaticano, dal titolo Cancer Research, Healthcare and Prevention: Structuring translational research to increase innovation and reduce inequalities, promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze (Pas) insieme alla European Academy of Cancer Sciences (Eacs).
Problemi e progressi
“Il nostro obiettivo è capire cosa può fare la scienza e quali politiche adottare per ridurre le disuguaglianze nell’accesso alle cure oncologiche”, ha dichiarato il professor Joachim von Braun, presidente della Pas, ai media vaticani. “Sono soprattutto i Paesi poveri e le persone povere a non avere accesso ai mezzi più moderni.” Il mondo della ricerca ha bisogno di linguaggi nuovi, ma anche di antichi sogni. Quello adottato dalla Pas per impostare questa e altre conferenze sul tema è la cosiddetta P4 Medicine strategy, la medicina delle P4: Preventiva, Partecipativa, Personalizzata e Predittiva. Un paradigma formulato ormai una quindicina di anni fa dall'Institute for System Biology di Seattle, diretto da Leroy Hood. Accanto a questa visione, si allarga la P4 Cancer Medicine, che unisce innovazione tecnologica, intelligenza artificiale, biologia e cura. Ma serve, evidenzia von Braun, un’infrastruttura adeguata, una rete globale di Comprehensive Cancer Centers (Ccc), ovvero centri di cura comprensivi capaci di unire ricerca, clinica e umanità. L’Unione Europea si sta già muovendo in questa direzione: da 50 a 100 Ccc, con l’obiettivo di garantire un centro ogni 4,4 milioni di abitanti. “Abbiamo fatto progressi enormi, ad esempio con i vaccini contro alcuni tumori. Nelle ragazze, la vaccinazione può prevenire il tumore del collo dell’utero, e la diagnosi precoce del cancro al colon ha fatto passi da gigante. Dobbiamo però diffondere maggiormente queste innovazioni”, ha aggiunto von Braun.
Le ricadute psicologiche
Il presidente della Pas ha evocato anche l’esperienza pastorale di Papa Leone XIV in Perù. In missione, per annunciare. E così deve muoversi la medicina, per lanciare un appello che è anche una benedizione laica: “Dobbiamo dire a tutti che una diagnosi di cancro non è più una condanna a morte". Non sempre. Non ovunque. "Non per chi riceve una cura tempestiva”. Un messaggio potente, che risuona tra le statistiche crude: 20 milioni di nuovi casi l’anno, 10 milioni di morti. Nel caso del cancro al seno, poi, molte donne non hanno accesso proprio a quei tanto necessari programmi di diagnosi precoce. Le cause? Stereotipi culturali e discriminazioni, che dissuadono, o spesso impediscono a molte di esse, di rivolgersi ai medici. C’è poi tutta un’attenzione da riservare “ai profondi aspetti psicologici, alla depressione che deriva da una malattia di questa portata”. È in questa tensione tra numeri, problemi e umanità che si gioca il ruolo della speranza – una speranza “giubilare”, che unisce scienza e compassione.
Sogni e proposte
Il convegno ha lanciato un altro grido d’allarme: quello della rappresentanza nei trial clinici. Il dottor Massimiliano Di Pietro, dell’Early Cancer Institute di Cambridge, ha sottolineato come “le donne provenienti dall’Africa sono molto meno rappresentate” negli studi sul tumore al seno. E la scienza che non include, rischia di escludere. La conferenza ha notato il bisogno di studi più ampi, che analizzino le combinazioni di farmaci, che intervengano nei primi stadi della malattia, che valutino anche i trattamenti locali nel contesto delle terapie sistemiche. La ricerca deve riflettere la diversità del mondo che pretende di curare. “In Africa”, specialmente nell’area sub-sahariana, "e in Asia", ha aggiunto il dottor Di Pietro, “non tutti i pazienti hanno accesso ai trattamenti sia per la mancanza di strutture e tecnologie, ma anche per il fatto che la ricerca sul cancro non è così diffusa”. Il sogno proposto dal convegno è ambizioso ma necessario: ogni Ccc dovrebbe prendersi cura di una regione, costruendo “network” con ospedali e cliniche locali. Solo così si può offrire a ogni paziente, ovunque si trovi, una diagnosi tempestiva, una terapia efficace, una possibilità concreta.
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