¡°Con i miei occhi¡±, alla Biennale apre il padiglione della Santa Sede
Benedetta Capelli - Città del Vaticano
Per arrivare all¡¯orto della Giudecca bisogna percorrere un corridoio con mura altissime, da un lato, e le inferriate delle finestre, dall¡¯altro. Ci sono dei bassorilievi in pietra lavica dell¡¯artista Simone Fattal nei quali sono incise parole che fanno male: ¡°Vorrei isolarmi, rannicchiarmi nel petto, non esiste qui un¡¯armatura¡¡±. Il dolore in poche frasi che sembra stridere con il sole che illumina i filari di insalata, i pomodori e le serre, frutto del lavoro delle detenute che anche nella cura della terra trovano un modo per ripartire. È in questo scenario che il cardinale José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l'Educazione, racconta il padiglione della Santa Sede, nell¡¯ambito della 60.ma edizione della Biennale di Venezia, e che si snoda negli ambienti del carcere, un tempo convento delle convertite nel quale si ospitavano prostitute che avevano lasciato quella vita ed erano affidate alla cura della Chiesa. ¡°Con i miei occhi¡± è il titolo dell¡¯allestimento, frutto di un incontro profondamente umano tra gli artisti e le donne che qui scontano la loro pena definitiva.
De Mendonça: un padiglione che apre all¡¯umanità
¡°Gli artisti sono venuti qui a mani vuote - spiega il porporato - e hanno raccolto le storie di vita, le immagini, le grida di dolore, gli spazi vuoti e i desideri che nascono in questi cuori che, con l¡¯aiuto dell¡¯arte, sono diventati una grande parabola¡±. Queste donne detenute, spiega il capo Dicastero, ¡°con le loro storie sono diventate la parabola che racconta tutta la vita¡±. Il dolore i sogni sono gli stessi di tutti. Il cardinale de Mendonça sottolinea ancora come la scelta della Giudecca sia stata ¡°destabilizzante¡± anche per l¡¯arte contemporanea e possibile grazie alla complicità dei curatori e dei responsabili della casa di reclusione. ¡°Ho cambiato le parole vedendo le opere - confessa - perché emerge la componente umana. Con l¡¯aiuto dell¡¯arte abbiamo capito che la grande sfida è trovare nuove parole, nuove visioni del mondo che renda giustizia all¡¯umano¡±. È la strada per contrastare la "cultura dello scarto" e aprire ad una cultura ¡°che possa servire la persona con speranza anche nella vulnerabilitࡱ. L¡¯arte contemporanea, conclude, può essere un motore che segna il desiderio di nuove parole, nuovi cammini per arrivare alla fratellanza.
La voce di Giulia
A prendere la parola e illustrare il padiglione anche i curatori, Bruno Racine e Chiara Parisi. Lei ha offerto il suo spazio di intervento a una lettera scritta da Giulia, una detenuta, nella quale racconta il lavoro fatto, presentando così il percorso espositivo. Parla di emozione, entusiasmo e gioia per quanto realizzato, di ¡°un¡¯unione unanime e all¡¯unisono¡± e della fiducia nel futuro perché ¡°nulla si crea e nulla si distrugge¡± e questo è un percorso che dovrà per forza di cose continuare perché - aggiunge Giulia - anche un incontro come questo trasforma ¡°donne che hanno sbagliato in risorse consapevoli¡±. Sono pensieri accolti con un filo di commozione e con applausi.
L¡¯occhio sbarrato
Anche il ministro della Giustizia italiano, Carlo Nordio, presente assieme al collega della Cultura, Gennaro Sangiuliano, si sofferma sull¡¯esperienza costruttiva delle detenute e sull¡¯opera d¡¯arte di Claire Fontaine, il collettivo artistico italo-inglese un occhio sbarrato, sguardo sbagliato o vietato, impossibilità di guardare all¡¯esterno che diventa così esclusione ma anche incapacità per chi è fuori di vedere questo luogo dentro.
Manuela, guida speciale
Mentre si formano i primi gruppi per visitare al meglio il Padiglione, vestiti metà bianchi e neri con un fiore di stoffa dai colori sgargianti cominciano ad apparire tra il verde dell¡¯orto. Sono donne curate, truccate, sorridenti e molto impegnate a sistemare i tavoli del buffet abbelliti da vasi di lavanda. Altre invece iniziano ad accompagnare i visitatori e a spiegare in maniera attenta chi sono gli artisti che hanno partecipato alla mostra. ¡°Nessuna ripresa¡±: è l¡¯ordine degli agenti penitenziari, in maggioranza ragazze giovani e davvero belle. Le guide sono donne detenute, condannate in via definitiva. Manuela, capelli scuri e nonna orgogliosa, è la più spigliata, racconta che le mancano due anni per uscire dalla Giudecca: un luogo, spiega, capace di offrire nuove possibilità, speranza e forza anche se ¡°entrare a 50 anni in una prigione è davvero dura¡±. ¡°Ho studiato le vite di tutti gli artisti¡±, aggiunge con una punta di orgoglio.
Un percorso ricco
L¡¯esposizione parte dall¡¯esterno con la facciata della Chiesa di Santa Maddalena e l¡¯opera che la ricopre di Maurizio Cattelan. Si tratta di piedi nudi e sporchi che richiamano Caravaggio e Mantegna ma che sono anche un richiamo all¡¯infanzia dell¡¯artista: i piedi di un papà umile e lavoratore. All¡¯interno del carcere le foto riviste e ripensate da Claire Tabouret, sono le pose più preziose per le detenute, immagini del passato come quella di una bambina che inizia a camminare, è la stessa Manuela - la guida - che ha offerto quanto di più caro aveva. Lei con la mamma che la accoglie nei passi incerti. Il percorso prosegue nella cappella sconsacrata con l¡¯artista brasiliana Sonia Gomes che ha appeso i vestiti delle detenute raccolti in intrecci colorati, ci sono nella caffetteria, le opere di Corita Kent, artista statunitense conosciuta anche per il suo passato da consacrata e per questo nota anche come la ¡°suora della pop art¡±.
Nel cortile dove le detenute passano la loro ora d¡¯aria la scritta ¡°Siamo con voi nella notte¡±, un modo per ricordare che il mondo fuori non dimentica chi è tra le sbarre. Da vedere, perché intenso e commovente, il corto che vede protagonista l'attrice Zoe Saldana, girato dal marito Marco Perego. Dodici minuti di racconto in bianco e nero con le detenute protagoniste, i volti segnati dalla rassegnazione, i volti tatuati, i volti inespressivi e tragici. Una storia che colpisce e che si comprende essere un lavoro di relazione e confronto tra mondi diversi ma non distanti. ¡°Tornavamo a casa dalle riprese - racconta a Radio Vaticana - Vatican News Marco Perego - sempre con tanti braccialetti che ci regalavano le ospiti del carcere e con tanti pensieri scritti¡±.
¡°¹ó´Ç°ù³ú²¹¡±
Da una finestra si scorgono i volti di alcune donne, treccine colorate, panni stesi ad asciugare, una voce che invoca libertà perché ¡°il carcere è brutto¡±. Nel lasciare questo luogo, molte donne che sono a passeggiare nel cortile salutano con gioia queste presenze inusuali. ¡°¹ó´Ç°ù³ú²¹¡±, risponde qualcuno. È l¡¯ultima voce che si sente non appena si chiude a chiave il pesante cancello di questa realtà che l¡¯arte sublima perché rende tutte le donne libere nel cuore e solide nella loro ritrovata dignità.
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