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2024.03.21 Lettere da Gerusalemme

Ep. 8 - Pasqua di Risurrezione 2025

Meditazione di don Filippo Morlacchi, sacerdote della Diocesi di Roma, fidei donum a Gerusalemme

Gerusalemme, 20 aprile 2025, Pasqua di Risurrezione

Quest’anno tutte le confessioni cristiane celebrano la Pasqua nello stesso giorno, nonostante seguano abitualmente calendari diversi. Questa coincidenza si verifica con cadenza irregolare: l’ultima volta era successo nel 2017, la prossima sarà fra tre anni, nel 2028. La ricerca di una data condivisa tra tutti i cristiani per celebrare la Pasqua è una faccenda molto antica. La questione fu trattata anche al concilio di Nicea, il primo concilio ecumenico, celebrato in Turchia nell’anno 325, esattamente 1700 anni fa. Le successive riforme del calendario hanno poi generato, nei secoli, nuove divisioni tra le Chiese, e perciò le diverse comunità di solito celebrano la Pasqua in date diverse. Recentemente anche Papa Francesco ha espresso il desiderio ecumenico che tutti i credenti in Cristo arrivino presto a concordare una data comune per la celebrazione della Pasqua, come segno di unità nella fede.

Quando casualmente i diversi calendari coincidono – come accade quest’anno – a Gerusalemme è un evento lieto, ma che comporta anche qualche piccolo problema organizzativo. Tutte le confessioni cristiane infatti celebrano le loro solenni liturgie nel Santo Sepolcro, e il meccanismo degli incastri è piuttosto complesso… Ogni Chiesa perciò deve fare qualche piccola concessione alle altre, e così facendo tutti riescono a pregare. La ricerca dell’unità è sempre laboriosa… ma è una delle cose per le quali Gesù ha pregato intensamente prima della Pasqua.

Celebrare la liturgia pasquale nella basilica del Santo Sepolcro è una grande emozione, anche per noi che a Gerusalemme ci viviamo. «Di fronte alla morte l’enigma della condizione umana raggiunge il culmine», ci ricorda la costituzione Gaudium et Spes (n. 18). La morte è il nemico “ultimo” del genere umano, che mette in questione il senso stesso dell’esistenza. Una volta un bambino della comunione lo espresse benissimo facendo questa domanda alla sua catechista: «Maestra – così la chiamava – ma che nasciamo a fare, se poi dobbiamo morire?». Neanche un filosofo esistenzialista avrebbe potuto formulare in maniera più perfetta la domanda ultima sul senso della vita. Ebbene, la risurrezione di Cristo è la risposta a questa domanda. Noi nasciamo perché la morte non è l’ultima parola. Nasciamo perché siamo chiamati alla vita eterna. Nasciamo perché la nostra vocazione ultima è la comunione perfetta, in cielo, con Dio. Nasciamo per morire, è vero; ma… moriamo per risorgere! Perché l’amore è più forte della morte, e la porte degli inferi non possono trattenere il Signore della Vita (cfr At 2,24).

L’edicola del Santo Sepolcro contiene ciò che rimane della tomba vuota di Gesù. Restaurata dai greci ortodossi dopo il disastroso incendio del 1808, le sue pareti in marmo sono ricoperte di iscrizioni che invitano a meditare il mistero della Pasqua. Una di queste iscrizioni è rimasta scolpita anche nel mio cuore. Si trova all’interno dell’edicola, sulla parete ovest, proprio accanto al luogo dove fu deposto il corpo del Signore. Recita: “hê peghê tês hemôn anastáseos”, cioè “la fonte della nostra resurrezione”. Il mistero della Pasqua è proprio questo. Gesù non ha vissuto la sua Pasqua “in solitaria”, ma ci ha aperto la strada. Noi, suoi fratelli, membri della sua chaburah – cioè la sua famiglia pasquale, come abbiamo ricordato giovedì santo – noi siamo racchiusi dal suo abbraccio, dalla sua forza di vita, siamo portati con lui in alto, trasferiti insieme a Lui dall’abisso della morte alla pienezza della vita. La sua risurrezione non è stata una rivincita personale contro i suoi nemici, ma un dono universale, che coinvolge tutti coloro che scelgono di appartenergli.

Quest’anno – come ho accennato poco fa – ricorre il 1700° anniversario del Concilio di Nicea, che ha formulato la fede comune della Chiesa mediante il simbolo che recitiamo ogni domenica a messa. In questa Pasqua vogliamo rinnovare la nostra adesione al Signore Gesù, il Risorto, il Vivente. Egli è il Figlio di Dio “della stessa sostanza del Padre”, homooùsios, come dice il Simbolo; per noi e per la nostra salvezza ha assunto la nostra carne mortale, per sperimentare la morte, come noi. Ma essendo egli il Verbo della Vita, la morte non ha potuto trattenerlo negli inferi. Così Egli risorge e ci porta con sé nella vita divina. “La sua risurrezione è la fonte della nostra risurrezione”, anzi: la fonte di ogni nostra risurrezione. Perché ogni volta che lasciamo prevalere in noi l’amore – l’amore vero, l’amore immolato dell’Agnello di Dio, l’amore pasquale – allora la risurrezione di Cristo si manifesta nella nostra vita.

In quest’anno giubilare, nel segno della “speranza che non delude” (Rm 5,5), vogliamo rinnovare la nostra gratitudine a Colui che si è mostrato “primogenito di molti fratelli” (Rm 8,29). In lui abbiamo la vita, la risurrezione e la riconciliazione. Questa speranza è per tutti, anche per coloro che vivono questa Pasqua nel dolore, nella malattia, nella prigionia, nella fame, nell’angoscia, sotto le bombe… Noi che abbiamo il dono della fede siamo chiamati a lasciar scaturire la potenza della risurrezione di Cristo nella nostra vita. Siamo chiamati a diventare noi stessi pegno e segno di risurrezione, pane spezzato per i fratelli, strumento di pace e riconciliazione tra tutti i popoli e tutte le creature. Cominciando da Gerusalemme (Lc 24, 47), fino ai confini della terra.

***

Ho terminato di scrivere queste meditazioni al ritorno a casa dopo la gioiosa processione della domenica delle palme, che ancor oggi percorre l’itinerario compiuto da Gesù duemila anni fa, partendo da Betfage e arrivando a Gerusalemme. Mentre scrivevo le ultime parole, ha iniziato a risuonare in città il sinistro ululato delle sirene, mentre l’applicazione del cellulare faceva squillare l’allarme, segnalando l’arrivo di missili nei sobborghi di Gerusalemme. Che fare? Non mi scompongo più di tanto, saranno di nuovo i ribelli Houti, ormai ci sono abbastanza abituato. Mi metto a pregare con il salmo 122: «Chiedete pace per Gerusalemme: vivano sicuri quelli che ti amano… Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: “su di te sia pace”…». E mentre prego, attendo con speranza ferma e rinnovata che si compia la profezia di Isaia: che Gerusalemme diventi luogo di pace e di riconciliazione universale. In quel giorno – dice il profeta – «la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56,7). La speranza ci dice che quel giorno verrà, e la fede ci insegna che il primo chiarore della sua alba è la risurrezione di Cristo. Felice Pasqua a tutti da Gerusalemme!

20 aprile 2025