Ep. 9 - Fra Cristoforo
Idealità e realismo vengono a convergere nella figura di fra Cristoforo. Egli è un peccatore contrito, uomo fra gli uomini. La sua idealità, ispirata ai valori dell’umiltà e del perdono, non è inficiata da un’oratoria aridamente catechetica. Al contrario, Manzoni lo cala, con vigoroso pragmatismo, nelle complesse dinamiche della vita. “Il suo capo raso - così viene ritratto -, salvo la piccola corona di capelli che vi girava intorno, secondo il rito cappuccinesco, s’alzava di tempo in tempo, con un movimento che lasciava trasparire non so che d’altero e di inquieto, e subito s’abbassava, per riflessione d’umiltà”. Del peccatore di un tempo (Lodovico) resta traccia nel tumulto frenato delle passioni. “Due occhi incavati - scrive Manzoni - eran per lo più chinati a terra, ma talvolta sfolgoravano con vivacità repentina, come due cavalli bizzarri condotti a mano da un cocchiere, col quale sanno per esperienza, che non si può vincerla, pure fanno di tempo in tempo qualche sgambetto che scontan subito con una buona tirata di morso”.
La grande intuizione di Manzoni nel descrivere la figura di fra Cristoforo consiste nell’aver mantenuto la persistenza del peccatore nel santo, bandendo così la tentazione di scavare uno iato reciso tra passato e presente. Scrive Manzoni: “L’uomo vecchio si trovò d’accordo col nuovo; e, in que’ casi, fra Cristoforo valeva veramente per due”. Espressione di una umanità in cui vizi e virtù non sono mai disgiunti, fra Cristoforo, nella sua nuova veste, si offre come “protettor degli oppressi” e “vendicator de’ torti”. Una missione, la sua, che trae alimento da quell’”orrore spontaneo e sincero” che aveva sempre provato al cospetto delle “angherie” e dei “soprusi”.
Nell’animo di fra Cristoforo rimane intatto quello che vibrava nell’animo di Lodovico, nel segno di una coerente continuità: ovvero, il temperamento del militante, che lo porta a non curarsi della dimensione diplomatica. In questo approccio sta la sua forza, ma anche la sua debolezza. Le sue prime parole, rivolte a don Rodrigo, sono già una dichiarazione di guerra, per quanto rese più moderate dalla volontà di ispirarsi a una guardinga umiltà: “Vengo a proporle un atto di giustizia, a pregarla di una carità”. Il primo riferimento, dunque, è all’”atto di giustizia”, poi alla “carità”. Un diplomatico avrebbe invertito l’ordine per cercare di imbonirsi l’ostile interlocutore. Inoltre, invece di lasciare a don Rodrigo la decisione sul comportamento da tenere, gli ricorda, con asciutta perentorietà, il rispetto della “coscienza” e dell’”onore”, cioè due entità che risultano assai scomode nella mente del reo, guidato dalla logica propria di un “tirannello mediocre”. Il suo linguaggio antidiplomatico è destinato dunque a non produrre il risultato sperato. E la reazione di don Rodrigo ne è la conferma: “Lei mi parlerà della mia coscienza, quando verrò a confessarmi da lei. In quanto al mio onore, ha da sapere che il custode ne son io, e io solo”. E anche quando, nel corso degli avvenimenti successivi, fra Cristoforo cercherà di mitigare il suo linguaggio, anche parlando “con un fil di voce”, le parole che sceglie sono sempre agonistiche: vanno diritte al segno, senza preamboli che possano smussarne l’impatto senza ridurne l’incisività.
Al contempo i discorsi del frate presentano sempre un qualcosa di censurato: una censura che conferisce alla sua oratoria una indiscutibile efficacia. Sempre rivolgendosi a don Rodrigo afferma: “Lei può molto quaggiù; ma…”. Fra Cristoforo non conclude le sue frasi, ma dice quanto basta perché l’interlocutore ne avverta, in tutte le sue implicazioni, il reticente significato. Avesse finito la frase, l’effetto sarebbe stato meno potente e il disagio dell’ascoltatore meno acuto. Esemplare testimonianza di questa maniera di comunicare è la celeberrima frase monca rivolta, o meglio, lanciata contro don Rodrigo che non intende recedere dai suoi propositi scellerati: “Verrà un giorno…”. E quel giorno, quello della resa dei conti con la giustizia divina, non si farà attendere. Una profezia formulata con tre parole sole.
Gabriele Nicolò