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Il cardinale Borromeo a colloquio con don Abbondio Il cardinale Borromeo a colloquio con don Abbondio 

Ep. 11 - Il cardinale Borromeo

C’è una differenza rivelatrice tra fra Cristoforo e il cardinale Borromeo. Si riscontra nel colloquio che, separatamente, ciascuno ha con don Rodrigo. Il religioso, con eloquenza magniloquente ma al contempo calata nel reale, tuona contro lo scellerato, e contro lui solo; il porporato, invece, quando conferisce con lui, sembra che stia su un altare e che si rivolga non solo al suo diretto interlocutore, ma ad una più vasta assemblea di fedeli. Questo cambio di prospettiva non inficia l’efficacia del suo discorso: tuttavia finisce per allontanarlo, almeno un po’, dalla sensibilità del lettore. Quella del cardinale è, senza dubbio, una figura carismatica, possiede una solennità che proietta un intenso fascio di luce sulla dinamica degli avvenimenti, ma non arriva a guadagnare quella “popolarità” che invece arride a fra Cristoforo. Certo è che entrambi i personaggi si configurano, nell’economia del romanzo, come complementari, e ben integrati, nella missione di evangelizzazione: sono testimoni e promotori di fede in un mondo minato dal sopruso e dall’ingiustizia.

Nel capitolo XXII Manzoni sviluppa un’ampia digressione dedicata alla vita del cardinale. Non pochi critici hanno avanzato riserve riguardo a questa scelta, definendola “dannosa” ai fini della resa artistica del romanzo. Una digressione in cui ci sarebbe troppa prosa e poca poesia. Lo stesso Manzoni, forse, ne era stato consapevole. Così scrive: “Intorno a questo personaggio bisogna che noi spendiamo quattro parole. Chi non si curasse di sentirle, e avesse però voglia d’andare avanti nella storia, salti addirittura al capitolo seguente”. In verità, non si tratta di un calo di tensione all’interno dell’intera vicenda. La classica modestia manzoniana si faceva scrupolo, in questo caso, della cura del lettore, sempre da lui servito con il massimo riguardo, e avvertiva che tale parentesi potesse essere percepita come un allentamento del ritmo vorticoso degli avvenimenti. Ma alla luce di un’attenta considerazione della digressione, si constata la funzionalità del racconto che, pur basato sulla dimensione cronachistica, riesce a tradursi in una feconda premessa della figura, non più storica, ma fittizia, del porporato.

Il cardinale Borromeo incarna l’immagine perfetta di bene e di pace. Questo assunto, tuttavia, rischiava di collocare il porporato in un orizzonte astratto. Interviene dunque il collaudato equilibrio manzoniano che si serve di altre figure, da don Abbondio ad Agnese, per far sì che, come scrive Luigi Russo, “il santo discenda dall’altare e vada per le vie del mondo, uomo tra gli uomini”. Nevralgico, anche in questo caso, è il ruolo svolto dagli eroi della piccola ragione, che vengono a “salvare” l’eroe della grande ragione, avvicinandolo, anche per il suo bene, a tutta l’umanità.

L’integrità del porporato viene presentata da Manzoni con accenti poetici, a dispetto dei detrattori che lamentavano un eccesso di prosa. “La sua vita è come un ruscello che, scaturito limpido dalla roccia, senza ristagnare né intorbidarsi mai, in un lungo corso per diversi terreni, va limpido a gettarsi nel fiume”. E quindi aggiunge che sempre coltivò il valore dell’abnegazione e dell’umiltà, che sono alla base dell’”elementare insegnamento della religione”. Un’umiltà che si misura anche sui parametri più spartani. “Badava di non ismettere un vestito prima che fosse logoro affatto”, rileva Manzoni che poi lancia uno dei suoi strali alle brutture dell’epoca: “al genio della semplicità univa quello d’una squisita pulizia, due abitudini notabili in quell’età sudicia e sfarzosa”. La figura del cardinale può risultare immobile, ma non è così. Intorno a lui si muove un mondo, e lui con esso.

Di fronte al cardinale sfilano, nel corso del romanzo, personaggi segnati dal peccato. Mai in lui fanno capolino un atteggiamento paternalistico o una disposizione satirica di condanna. Le debolezze e le vanità di uomini e donne sono “ascoltate e comprese” e quel che più conta sono ricollocate in un disegno più vasto, in cui non emerge il singolo errore del singolo individuo, ma il dramma della coscienza della persona in generale. Nessuno viene umiliato, ma nessuno, è bene ricordarlo, è veramente grande, perché la vera grandezza – nell’ottica manzoniana – appartiene solo a Dio, e alla sua onnipotenza. E se nella persona si accende una scintilla divina, come ricorda il cardinale Borromeo, essa va conservata e coltivata come dono, con sentimento riconoscente verso il cielo, e non brandita con smodato orgoglio e prometeica irriverenza.

Gabriele Nicolò

12 giugno 2025