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Renzo Tramaglino Renzo Tramaglino 

Ep. 1 - Renzo

C'è un ventaglio di aggettivi per definire Renzo. Ingenuo, impaziente, talora petulante, ma mai corrotto. Renzo, angustiato dal torto inflittogli da don Rodrigo, perde l’orientamento, annaspa nel tentativo di risolvere la questione del matrimonio contrastato. Lungo questo accidentato cammino, riesce a collezionare numerosi rimbrotti, anzitutto quelli di Lucia, che lo invita con fermezza a non deviare dalla retta via per avere ragione su chi gli si oppone, sia quelli di Agnese, che lo esorta ad essere più intraprendente e scaltro invece di autocommiserarsi e di scagliare la sua ira contro il destino avverso. A dispetto di questo scenario, che rischia di risultare oltremodo inclemente nei suoi riguardi, Renzo si erge a incarnazione di un’ansia di giustizia sentita in modo elementare e viscerale. Un’ansia che gli conferisce un’aura solenne, proprio perché è vissuta nella dimensione di una schiettezza tipica del mondo contadino, che non conosce diaframmi ingombranti o pose retoriche. Renzo ha subito un torto, umano e morale: chiede che questo torto sia riparato. Né più né meno. Il percorso che egli dovrà compiere prima che l’obiettivo sia raggiunto sarà tuttavia infido e tortuoso. Ma Renzo può contare su un alleato prezioso e decisivo, ovvero il suo sano desiderio di giustizia, incorrotto e incorruttibile (come notava Alberto Moravia), che nessuna malefatta potrà mai guastare o estirpare.

In merito ai rimbrotti e al suo innato senso di giustizia, spicca l’episodio che lo vede protagonista insieme a fra Cristoforo. Renzo trema al pensiero di non poter trovare Lucia nel lazzaretto perché teme sia morta. Di conseguenza si adira, farnetica e medita vendetta. Quindi esclama: “La farò io giustizia”. Interviene allora fra Cristoforo, con la sua grave eloquenza, per ricordargli che la giustizia non è mai quella degli uomini, ma solo quella di Dio. “Sciagurato! gridò il padre Cristoforo. Guarda, sciagurato! E mentre con una mano girava l’altra davanti a sé, accennando quanto più poteva della dolorosa scena d’intorno, “Guarda chi è Colui che castiga! Colui che giudica, e non è giudicato! Colui che flagella e che perdona! Ma tu, verme della terra, tu vuoi fare giustizia! Tu lo sai, quale sia la giustizia! Va’ sciagurato, vattene!”.

Queste marmoree parole di fra Cristoforo, osserva il critico Luigi Russo, “sono tra le più profonde e più piene di cristianesimo che Manzoni abbia scritto”. In questa requisitoria non si accenna a don Rodrigo, perché nella pena di tutti c’è il riscatto di ciascuno, anche dello scellerato. Da questa scena Renzo esce solo in apparenza umiliato. E’ vero che la giustizia divina supera e sublima la giustizia terrena, della quale egli si fa convinto e strenuo paladino. Ma se nel promuovere questo ideale fa peccato di lesa maestà, resta il fatto che il suo credo, generoso e a suo modo pio, si configura come un saldo riferimento etico. La pietà e il perdono cristiano sono valori che ancora non gli appartengono. Ci vorrà tempo prima che li assimili nella loro pienezza e nel loro spessore. Tuttavia la severa e illuminante lezione di fra Cristoforo trova nell’animo di Renzo terreno fertile dove germogliare, perché quell’animo – non inficiato appunto dalla corruzione – è già aperto alla prospettiva di una giustizia che da sommaria e imperfetta diventerà, con il suggello divino, equanime e compiuta.

Gabriele Nicolò

12 marzo 2025