Ep. 2 - Lucia
Ha “quella modestia un po’ guerriera delle contadine” Lucia Mondella, i cui “sopraccigli” sono “lunghi e neri” mentre la bocca “s’apriva al sorriso”. Alla sua figura Manzoni affida un compito che ha un rilievo etico fondamentale: farsi custode del valore sacro del matrimonio. Una missione che Lucia porta avanti con il massimo rigore, tanto da fare un voto di castità quando sarà rapita dall’Innominato. Ella, di proposito, viene subito presentata come una sposa pronta per le nozze. Sul suo viso si rifletteva “una gioia temperata da un turbamento leggiero, quel placido accoramento che si mostra di quand’in quando sul volto delle spose e, senza scompor la bellezza, le dà un carattere particolare”.
Nonostante sia sottoposta, nel serrato svolgersi della vicenda, a dure prove e perentori scombussolamenti, Lucia si configura come un personaggio statico. Ma certo non passivo. Gli avvenimenti sembrano ruotare intorno a lei che, nel frattempo, si fa forte di una coerenza interiore e di un saldo equilibrio morale, baluardi contro le avversità. La sua condotta è integerrima (alcuni critici hanno storto il naso lamentando tracce di stilizzazione). E’ innegabile, tuttavia, che in uno scenario segnato da atti vili, malefatte e soprusi, Lucia finisce per incarnare il valore di un giudizio morale che mai si traduce in un processo sommario contro il malvagio: al contrario, tale giudizio si carica di una dimensione squisitamente cristiana, che riconosce nella comprensione e nella misericordia il suo tratto distintivo.
L’umiltà di Lucia, intesa come virtù e non come supina remissività, si manifesta in modo icastico durante l’incontro con l’Innominato. “Alzatevi, ché non voglio farvi del male, e posso farvi del bene”, le intima. L’umiltà della giovane è intrisa di saggezza. Ella intuisce, infatti, che se avesse opposto resistenza, avrebbe acuito “la selvatichezza originaria” del personaggio e ridestato la sua antica superbia e nequizia. La giovane dunque non ribatte né si arrende, ma si offre disarmata e dichiara: “Sono qui, mi ammazzi”. Nel pronunciare questa frase, prima alza gli occhi “in viso all’Innominato” e poi “gli ribassa subito”: se avesse tenuto lo sguardo fisso, avrebbe potuto tradire una provocatoria protervia. Invece lo sguardo rivolto a terra disarma ogni scomoda fierezza.
Lucia non recita mai. E’ sempre autentica. Di fronte all’Innominato, un animo di donna più superficiale si sarebbe appellato all’espediente di una forma teatrale di dolore. Al contempo Lucia si erge ad eroina della volontà. Nel corso del romanzo ella, in più di un’occasione, si oppone ai disegni di Renzo e di Agnese che annaspano nel tentativo di trovare una via d’uscita dopo la malvagia sortita di don Rodrigo. La pudicizia dei sentimenti in Lucia non deve ingannare riguardo alla fermezza della sua personalità. Discepola di un maestro di vita quale è fra Cristoforo, ella simboleggia una femminilità cristiana, calata nella vita elementare di una popolana, che sa difendere i suoi pensieri virginei e i suoi principi di fede, nonché la libertà del suo sentire.
Profetico, per certi versi, è stato Manzoni nel vergare quella memorabile pagina dell’”Addio ai monti” da parte di Lucia: sembra infatti di rivivere il dramma attuale di tutti coloro che sono costretti a lasciare la propria terra e i propri cari per ingiusti motivi, e vanno a cercare fortuna altrove, sfidando l’ignoto. Diretta, a bordo di una barca, a Pescarenico, per sfuggire alle grinfie di don Rodrigo, Lucia rivolge il suo sguardo malinconico e il suo pensiero accorato allo scenario che la circonda. L’addio è alle “cime inuguali”, ai torrenti e alle ville sparse. L’addio è sia alla casa natia, sia alla casa “ancora straniera”, sogguardata tante volte “non senza rossore”. E l’addio è alla chiesa, “dove l’animo tornò tante volte sereno”.
Nell’ “Addio ai monti” Manzoni si ricava un “cantuccio”, che si fregia di un superlativo lirismo, in cui esterna i propri personali sentimenti. Alcuni commentatori gli hanno contestato una stridente contraddizione per aver fatto formulare a una persona così semplice come Lucia, con un grado di istruzione rudimentale, pensieri confezionati con un linguaggio aulico e raffinato. Un capo d’accusa ozioso, verrebbe da controbattere. La pagina è un capolavoro, per chi la voglia gustare senza diaframmi intellettuali. E se contraddizione pure ci fosse, sarebbe da rubricare come “licenza poetica”, degna del miglior perdono.
Gabriele Nicolò