Leone XIV: formare i sacerdoti alla fraternità con tutti, non a sentirsi "condottieri solitari”
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
L’udienza ai formatori del XXXIII Corso promosso dall'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum per quanti nei seminari sono impegnati della formazione sacerdotale e ai partecipanti al Capitolo Generale dei fratelli saveriani, tenuta stamani, 25 luglio, nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, offre a Leone XIV l’opportunità per esortare tutti ad un maggiore impegno nell’annuncio del Vangelo al mondo di oggi. Ma lasciandosi contagiare “dalla gioia” della Buona Novella, perché ci possano essere “cristiani felici, discepoli felici e missionari felici”.
Siamo chiamati a entrare nel dinamismo della missione e ad affrontare le sfide dell’evangelizzazione. Questa chiamata esige da tutti, ministri ordinati e fedeli laici, una formazione solida e integrale, che non si riduce solo ad alcune competenze conoscitive, ma che deve mirare a trasformare la nostra umanità e la nostra spiritualità perché assumano la forma del Vangelo, e in noi si facciano spazio “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”.
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Formarsi
Formarsi significa fondare “sulla ‘roccia’” la “casa” della propria “vita” e del proprio “cammino”, “presbiterale o laico che sia”, spiega il Papa, vuol dire avere “basi robuste con le quali saper affrontare le tempeste umane e spirituali da cui anche la vita del cristiano, del prete e del missionario non è esente”. E per questo occorre “coltivare l’amicizia con Gesù”, “vivere una fraternità effettiva e affettiva tra di noi” e “condividere la missione con tutti i battezzati”.
Coltivare l’amicizia con Gesù. Questo è il fondamento della casa, che deve essere messo al centro di ogni vocazione e missione apostolica. Occorre vivere in prima persona l’esperienza dell’intimità con il Maestro, l’essere stati guardati, amati e scelti da Lui senza merito e per pura grazia.
L’amicizia con Cristo
Ed è su tale esperienza che si sofferma il Pontefice, evidenziando che è prima di tutto questa che viene trasmessa “nel ministero”, perché quando si formano “altri alla vita sacerdotale e quando”, nella propria “specifica vocazione”, si annuncia “il Vangelo nelle terre di missione”, anzitutto di trasmette la propria “personale esperienza di amicizia con Cristo”, la quale “traspare dal proprio “modo di essere”, dal proprio “stile”, dalla propria “umanità”, da come si è “capaci di vivere buone relazioni”.
Un continuo cammino di conversione
A tal proposito Leone ricorda, come ha detto Papa Francesco all’, che “l’evangelizzazione è più che una semplice trasmissione dottrinale e morale”, è primariamente “testimonianza”, “testimonianza dell’incontro personale con Gesù Cristo, Verbo Incarnato nel quale la salvezza si è compiuta”, dunque “non è trasmettere un’ideologia o una ‘dottrina’ su Dio”, ma “trasmettere Dio che si fa vita in me”. E per tale motivo serve un “continuo cammino di conversione”.
I formatori e coloro che si occupano di loro non devono dimenticare di essere loro stessi in un cammino di permanente conversione evangelica; i missionari, allo stesso tempo, non devono dimenticare di essere sempre i primi destinatari del Vangelo, i primi a dover essere evangelizzati. E ciò significa un lavoro costante su sé stessi, l’impegno di scendere nel proprio cuore e di guardare anche le zone d’ombra e le ferite che ci segnano, il coraggio di lasciar cadere, coltivando l’intima amicizia con Cristo, le nostre maschere. Così, ci lasceremo trasformare dalla vita del Vangelo e potremo diventare autentici discepoli missionari.
Le quattro vicinanze
Quanto alla “fraternità affettiva”, Leone suggerisce ai sacerdoti di tenere presenti le di cui parlava Papa Francesco: “con Dio, con il vescovo, tra i presbiteri e con il Popolo”.
È necessario imparare a vivere come fratelli tra sacerdoti, così come nelle Comunità Religiose e con i propri Vescovi e Superiori; bisogna lavorare molto su sé stessi per vincere l’individualismo e la smania di superare gli altri, che ci fa diventare concorrenti, per imparare a costruire gradualmente relazioni umane e spirituali buone e fraterne. In linea di principio, penso, sono tutti d’accordo su questo, ma nella realtà c’è ancora tanta strada da fare.
Preti tra la gente, non “condottieri solitari”
Infine il Papa esorta a recuperare quell’impegno comune che caratterizzava i cristiani dei primi secoli, per i quali era “naturale” sentirsi “discepoli missionari” e impegnarsi “in prima persona come evangelizzatori”. Questo significa “condividere la missione”, perciò bisogna “tornare a questa partecipazione di tutti i battezzati alla testimonianza e all’annuncio del Vangelo”. Per Leone è importante “lavorare insieme alle sorelle e ai fratelli” delle comunità cristiane delle terre di missione e per questo si rivolge, in particolare, ai formatori.
Vorrei dire che bisogna formare i presbiteri a questo, a non pensarsi come condottieri solitari, a non assumere il sacerdozio ordinato nella prospettiva del sentirsi superiori. Abbiamo bisogno di preti capaci di discernere e riconoscere in tutti la grazia del Battesimo e i carismi che ne scaturiscono, magari anche aiutando le persone ad aprirsi a questi doni, per trovare il coraggio e l’entusiasmo di impegnarsi nella vita della Chiesa e nella società.
Insomma, Leone chiede che “la preparazione dei futuri sacerdoti” sia “sempre più immersa nella realtà del Popolo di Dio e svolta con l’apporto di tutti i suoi componenti: sacerdoti, laici e consacrati, uomini e donne”.
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