Tra pissidi, calici e paramenti: il lavoro degli agostiniani nella Sagrestia del Papa
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Provvedono alla cura delle Cappelle papali del Palazzo Apostolico, del “tesoro pontificio” e della Lipsanoteca, la stanza dei reliquari, sotto la responsabilità del Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie. Sono i religiosi agostiniani addetti alla Sagrestia Pontificia, il cui compito principale è quello di predisporre tutto il necessario per le celebrazioni del Papa, paramenti, calici, pissidi. Una piccola comunità, la loro, che vive tra le sacre stanze, nei pressi della Cappella Sistina, per portare avanti una missione nascosta, solerte e talvolta assai impegnativa, soprattutto quando il Pontefice presiede solenni liturgie o grandi eventi.
Impegnati nel Conclave
In due, ora, sono impegnati nel Conclave, spiega il segretario generale dell’ordine di Sant’Agostino, padre Pasquale Di Lernia, e, come i cerimonieri pontifici, i confessori, gli addetti alle pulizie, medici e infermieri, lunedì scorso, 5 maggio, hanno promesso e giurato nella Cappella Paolina, davanti al cardinale Kevin Joseph Farrell, camerlengo di Santa Romana Chiesa, “di osservare il segreto assoluto con chiunque non faccia parte del Collegio dei Cardinali elettori, e ciò in perpetuo”, a meno di non ricevere “una speciale facoltà data espressamente dal nuovo Pontefice eletto o dai suoi successori”, su ciò che si svolge nella Città del Vaticano in questi giorni.
Le “papaline”
Al fianco dei religiosi agostiniani, lavorano anche, silenziosamente, alcune suore: sono le oblate del Bambino Gesù, che osservano pure la regola di Sant’Agostino. Sono loro ad occuparsi dei paramenti del Papa, specifica padre Di Lernia, dal 1683 su incarico di Innocenzo XI. Le chiamano “le papaline”. Nel corso degli anni le oblate hanno stirato e inamidato i paramenti di Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, dei due Giovanni Paolo, di Benedetto XVI e Francesco. Adesso sono in quattro a stirare e riassettare la biancheria nella Sagrestia Pontificia, ma nella loro comunità, nel pieno centro dell’urbe, hanno la loro lavanderia e stireria, dove casule e tovaglie per gli altari arrivano in grandi casse e tornano in Vaticano sempre candide. Grazie alle loro sapienti mani spariscono tracce di cera, olio o vino. E così vesti e paramenti liturgici sono pronti per essere adoperati in occasione delle celebrazioni papali.
Angelo Rocca, un sacrista illustre
Gli agostiniani prestano servizio nel Palazzo Apostolico dal XIV secolo, quando Clemente VI, nel 1352, decise di scegliere il suo sacrista tra i religiosi dell’Ordine di Sant’Agostino. Il compito era quello di custodire gli arredi e le reliquie del Sacrario Apostolico e di assistere il Pontefice durante le celebrazioni solenni. Per lo più, i sacristi agostiniani sono stati vescovi, poi il titolo episcopale è stato attribuito loro stabilmente a partire da Clemente VIII. Nel corso dei secoli, diversi addetti alla sagrestia del Papa si sono distinti per la loro testimonianza di vita. Tra loro padre Angelo Rocca, che, prima di essere sacrista, nel 1595, per volere di Sisto V, fu correttore della Tipografia Vaticana e segretario della Congregazione dell’Indice. Lo stesso Pontefice lo coinvolse nel grande progetto culturale che comprendeva la realizzazione della prima grande biblioteca del mondo cattolico, la Biblioteca Vaticana, e poi lo volle pure come collaboratore nella revisione della Bibbia Vulgata. Di sua iniziativa, invece, padre Rocca diede vita a Roma, all’inizio del 1600, alla prima biblioteca pubblica, la Biblioteca Angelica.
Il frate al fianco di Giovanni XXIII
Tra i consacrati dell’ordine agostiniano in servizio nella Sagrestia Pontificia merita di essere ricordato fr. Federico Belotti, al fianco di Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI, che monsignor Loris Capovilla, segretario di Papa Roncalli, poi creato cardinale nel 2014 da Papa Francesco, definì “umile, sereno, devoto e cordiale”. “Non notai un solo difetto nel suo diligente servizio. Mai una volta che chiedesse una medaglia, un libro, un favore. Accettava i frequenti segni di benevolenza del Papa; se li teneva per sé”, scrisse di lui Capovilla. Belotti era il fraticello che tutti i giorni andava nella cappella privata del Pontefice a servire la Messa. Giovanni XXIII gli affidò qualche opera di misericordia e a lui si rivolgeva in maniera confidenziale. Gli chiese, anche, di seguirlo a Castel Gandolfo, durante le vacanze estive, e con lui soleva passeggiare lungo i giardini della villa pontificia. E fa sorridere la richiesta che il Pontefice, il quale era solito regalare ai parenti che arrivavano da Sotto il Monte 10mila lire ciascuno, gli fece un giorno. Domandò a credito 70mila lire. “Santità, questa volta non posso accontentarla - rispose il religioso - chieda a monsignor Tommaso Ryeare, suo docente d’inglese che le farà volentieri il prestito”. Ma sono tanti gli aneddoti dell’amicizia fra il religioso agostiniano e Giovanni XXIII, raccontano un’umanità spiccia e genuina, colloqui e dialoghi della quotidianità, un affetto fraterno e vicendevole, ma pure episodi esilaranti. Come quando il frate, che dormiva in una stanza a fianco a quella del Pontefice, addormentatosi profondamente, russava rumorosamente. Svegliatosi al suono di un campanello, impaurito, esclamò: “Santità!”. E il Papa divertito: “State calmo, fra Federico. Voi suonavate le vostre trombe e io suonavo le mie campane!”.
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