Il Papa: il carcere sia laboratorio di speranza, non solo luogo di pena
Alessandro Di Bussolo ¨C Città del Vaticano
La pena, in carcere, è sia il tempo che il detenuto deve scontare per i reati commessi, sia la sofferenza per la privazione della libertà. Ma, con l¡¯aiuto di chi opera ¡°al servizio dei detenuti¡±, il carcere può diventare ¡°laboratorio di umanità e speranza¡±, luogo ¡°di riscatto, di risurrezione e di cambiamento di vita¡±. ai 600 agenti di custodia, medici, educatori, amministrativi, cappellani e volontari della casa circondariale "Regina Coeli¡± di Roma, incontrati in aula Paolo VI.
Curare le ferite di chi è senza libertà per i suoi errori
Prima dell¡¯arrivo del Papa, sugli schermi dell¡¯aula, i partecipanti, accompagnati dal cappellano padre Vittorio Trani e dal direttore Silvana Sergi, possono rivedere la dello scorso anno, il 29 marzo 2018, celebrata da Francesco nel carcere di Trastevere. E nel suo discorso, il Pontefice esprime la sua riconoscenza e quella della Chiesa per ¡°il vostro lavoro accanto ai reclusi¡± che ¡°richiede fortezza interiore, perseveranza e consapevolezza della specifica missione alla quale siete chiamati¡±. E anche ¡°buon senso nelle diverse situazioni nelle quali vi troverete¡±, aggiunge lasciando il testo preparato.
Il carcere è luogo di pena nel duplice senso di punizione e di sofferenza, e ha molto bisogno di attenzione e di umanità. È un luogo dove tutti, Polizia Penitenziaria, Cappellani, educatori e volontari, sono chiamati al difficile compito di curare le ferite di coloro che, per errori fatti, si trovano privati della loro libertà personale.
La carenza di personale e il sovraffolamento
Una buona collaborazione tra i diversi servizi nel carcere, ricorda ancora Papa Francesco, ¡°svolge un¡¯azione di grande sostegno per la rieducazione dei detenuti¡±. Ma per la ¡°carenza di personale¡± e il ¡°cronico sovraffollamento¡±, ¡°il faticoso e delicato lavoro rischia di essere in parte vanificato¡±. E qui il Papa fa appello all¡¯ ¡°equilibrio personale¡± e alle ¡°valide motivazioni¡± del personale carcerario, che vanno ¡°costantemente rinnovate¡±, per sopportare ¡°lo stress lavorativo determinato dai turni pressanti e spesso la lontananza dalle famiglie¡±, che appesantiscono un lavoro che già di suo ¡°comporta una certa fatica psicologica¡±.
Carceri da umanizzare: no a violenza e illegalità
Anche perché chi opera in un carcere non deve solo ¡°garantire la custodia, l¡¯ordine e la sicurezza dell¡¯istituto¡±, ma spesso anche ¡°fasciare le ferite di uomini e donne che incontrate quotidianamente¡±
Nessuno può condannare l¡¯altro per gli errori che ha commesso, né tantomeno infliggere sofferenze offendendo la dignità umana. Le carceri hanno bisogno di essere sempre più umanizzate, ed è doloroso invece sentire che tante volte sono considerate come luoghi di violenza e di illegalità, dove imperversano le cattiverie umane.
Detenuti povera gente, per la società sono uno scarto
Francesco chiede di non dimenticare ¡°che molti detenuti sono povera gente, non hanno riferimenti, non hanno sicurezze, non hanno famiglia, non hanno mezzi per difendere i propri diritti¡±. Per la società, per ¡°l¡¯inconscio collettivo¡°, i detenuti ¡°sono individui scomodi, sono uno scarto, un peso¡±. Ma le esperienze già vissute dimostrano che ¡°il carcere, con l¡¯aiuto degli operatori penitenziari, può diventare veramente un luogo di riscatto, di risurrezione e di cambiamento di vita¡±. Grazie, ricorda il Pontefice, a ¡°percorsi di fede, di lavoro e di formazione professionale, ma soprattutto di vicinanza spirituale e di compassione, sull¡¯esempio del buon Samaritano, che si è chinato a curare il fratello ferito¡±.
Aiutare a rialzarsi chi è stato intrappolato dal male
Un atteggiamento di prossimità, conclude Papa Francesco, ¡°che trova la sua radice nell¡¯amore di Cristo¡± e ¡°può favorire in molti detenuti la fiducia, la consapevolezza e la certezza di essere amati¡±. Infatti, aggiunge alzando gli occhi dal testo scritto, ¡°ognuno deve avere sempre la speranza del reinserimento¡±. Ogni pena, sempre, ¡°deve avere la finestra aperta per la speranza¡±. Perchè una pena senza speranza, spiega il Papa, "non serve, non aiuta, provoca nel cuore sentimenti di odiosità, tante volte di vendetta e la persona esce peggio di come è entrata". Per questo, però, serve la concordia e l¡¯unità tra gli operatori penitenziari.
Tutti insieme, Direzione, Polizia Penitenziaria, Cappellani, area educativa, volontariato e comunità esterna siete chiamati a marciare in un¡¯unica direzione, per aiutare a rialzarsi e a crescere nella speranza quanti sono, purtroppo, caduti nella trappola del male. Da parte mia, vi accompagno con il mio affetto, che è sincero, e con la mia preghiera, perché possiate contribuire, con il vostro lavoro, a far sì che il carcere, luogo di pena e di sofferenza, sia anche laboratorio di umanità e di speranza. Nell¡¯altra diocesi andavo spesso al carcere e ogni 15 giorni, le domeniche, faccio una telefonata a un gruppo di carcerati in un carcere che visitavo con frequenza.
La domanda che aiuta: perchè loro e non io?
E sempre a braccio, Francesco racconta: "sempre ho avuto una sensazione quando entravo nel carcere: perché loro e non io? Mi ha fatto tanto bene quello. Perché loro e non io? Avrei potuto essere lì... e no, il Signore mi ha dato una grazia che i miei peccati e le mie mancanze siano state perdonate e non viste, non so. Ma quella domanda aiuta tanto: perché loro e non io?"
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