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Alan Kurdi, il piccolo migrante siriano di etnia curda trovato morto sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, nel settembre 2015 (disegno di Lukesure) Alan Kurdi, il piccolo migrante siriano di etnia curda trovato morto sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, nel settembre 2015 (disegno di Lukesure)

Dieci anni fa la morte del piccolo Alan Kurdi, in quella foto il naufragio della civiltà

Il corpo del bimbo di soli tre anni fu rinvenuto sulle spiagge turche, restituito dallo stesso mare che aveva ingoiato anche il fratellino e la mamma. Uno scandaloso sacrificio che stracciò le coscienze che però oggi sono tornate a chiudersi di fronte alle stragi del Mediterraneo e alla incapacità dell’Europa di gestire il fenomeno migratorio con umanità

Gaetano Vallini – Città del Vaticano

Ci sono immagini così forti da restarti dentro, come scolpite nella mente e nel cuore. Le ricordi nitide anche dopo molto tempo. Come quella del piccolo Alan Kurdi, tre anni appena, profugo siriano in fuga con la famiglia, il cui corpicino senza vita venne trovato sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia. Era il 2 settembre 2015 e in quel naufragio morirono altre 11 persone, tra cui il fratellino di Alan, Ghalib, cinque anni, e la madre, Rehanna. La foto che mostrava il corpicino riverso a pancia in giù, cullato dalla risacca, quasi dormisse, finì subito sui siti di informazione mondiali e il giorno dopo sulle prime pagine dei quotidiani.

Come prevedibile, l’immagine, scattata da Nilufer Demir, suscitò un’ondata di commozione e di indignazione. Quella morte scandalosa avviò infatti un processo in bilico tra l’esaltazione mediatica collettiva, amplificata dalla velocità della rete, e la manifestazione intensa e personale della compassione.

Del resto, pubblicando quella foto si sperava che le coscienze assuefatte alle continue notizie di naufragi con morti e dispersi si scuotessero. E che quella scossa arrivasse anche a quanti avevano la responsabilità di gestire il fenomeno migratorio, affinché, in un sussulto di umanità, mettessero da parte le strumentalizzazioni propagandistiche e agissero per fermare le stragi.  E nell’immediato effettivamente qualcosa si mosse. Ma durò poco. La “Fortezza Europa” tornò presto a chiudere le porte, ad alzare nuovi muri; persino attraverso l’esternalizzazione delle frontiere.

Dieci anni dopo osserviamo di nuovo quella straziante foto di Alan. Il cuore si stringe ancora e, se possibile, fa più male. Perché siamo ormai disillusi. La sua morte non ha cambiato nulla.  Commozione, sgomento e indignazione non si sono trasformate in un movimento capace di condizionare la politica. Le cui restrizioni non hanno peraltro fermato le partenze verso l’Europa e le tragedie. Dal 2014 nel Mare Nostrum sono morte oltre 30.000 persone, tra le quali moltissimi minori.

L’assuefazione ha dunque ripreso possesso delle coscienze, salvo brevi sussulti (come per la strage di Cutro), e la paura dello straniero, alimentata dai populismi, è tornata a dettare l’agenda politica. E così la foto di Alan da simbolo delle tragedie del Mediterraneo che si sarebbero dovute evitare, diventa oggi icona di un fallimento. Ci ricorda il vergognoso naufragio della nostra civiltà.

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03 settembre 2025, 15:13